La Regola di San Benedetto

Tutto quel che comincia
ha una virtù
che non si ritrova mai più.
Una forza,
una novità,
una freschezza come l’alba.
Una giovinezza,
un ardore.
Uno  slancio.
Una ingenuità.
Una nascita che non si trova mai più.

Pèguy, Portico del mistero della seconda virtù

LEGE

Qual è stato alle origini il “progetto” della riforma cistercense, a quali domande ha risposto e quali risposte convincenti ha saputo trovare?

Poniamo questa domanda [1] per individuare i caratteri che fanno ancora oggi dell’esperienza cistercense qualcosa di geniale, qualcosa che è  insieme originale   e  fecondo, come una sorgente sempre nuovamente zampillante,  come testimonia la sua diffusione in tutti e cinque i continenti e il suo permanere nel tempo nonostante non poche difficoltà e cambiamenti. Una ricerca sapiente e intelligente della verità mediante l’ascolto della Parola di Dio  e della Tradizione,  del Magistero passato e presente, dell’esperienza monastica passata e presente. Una adesione autentica alla Regola, testimone, come la Parola, della “ratio” secondo la quale Dio ha creato e governa l’universo e la vita di ciascuno. Una indissolubile unione nella carità che viene espressa come la forma della vita, e diventa anche il principio giuridico attorno a cui i monasteri cistercensi si costituirono:

“In questo decreto dunque, i suddetti fratelli, per prevenire un possibile naufragio della pace comune, chiarirono, stabilirono, trasmisero ai loro successori, con quale patto e in quale modo, o meglio con quale carità, i loro monaci, separati fisicamente nelle abbazie in diverse parti della regione, dovessero rimanere indissolubilmente uniti nello spirito “anmi indissolubiliter conglutinarentur”. [2]

La ricerca sapiente e intelligente della verità, (lege) la Regola, (ora et  labora) di San Benedetto, l’unione nello Spirito e nella carità, sono tre elementi che fanno ancor oggi di questa esperienza qualcosa di appassionante e coinvolgente alla cui scuola val la pena di mettersi, sia per illuminare le domande che l’uomo oggi porta dentro di sé, sia per suscitarle dove siano spente, sia per trovare e verificare la solidità delle risposte che appaiono convincenti e fruibili perché non sono altro che l’espressione del cristianesimo vissuto in pienezza e maturità.

I primi tre articoli delle nostre Costituzioni, elaborate in vent’anni di riflessione comune dopo il Concilio Vaticano II, definiscono il monachesimo cistercense trappista come una forma di rinnovamento del ramo benedettino, un istituto integralmente dato alla contemplazione, una vita essenzialmente cenobitica.

La Regola di San Benedetto, il servizio –  culto di Dio e la comunità comunione delle sorelle in Cristo sono come il tronco dell’albero che è il corpo comunitario, sul quale si innestano i rami portatori di fiori e frutti dei valori attorno ai quali la comunione cenobitica  si consolida e si esprime.

una vita consacrata a Dio
nell’unione fraterna
nella solitudine
nel silenzio
nella preghiera
nel lavoro
in una disciplina di vita

Cinque voti costituiscono i pilastri fondamentali della nostra consacrazione: i tre voti classici di  obbedienza,  verginità, povertà, e due voti a noi propri: la stabilità nel luogo e con le sorelle, e la promessa di perseverare in uno stile di vita che è connotato essenzialmente da una dinamica di conversione. La stabilità e la conversione sono come le due braccia della croce,  verticale (il rapporto con Dio) e orizzontale (il rapporto con le sorelle),  statico (stabilità, perseveranza, fedeltà) e dinamico (conversione, che è anche apertura a un rinnovamento continuo).

Questa disciplina di vita dilata il corpo mistico di Cristo con una segreta fecondità apostolica.

Nell’insieme di valori e mezzi scelti da san Benedetto e lungo la storia del monachesimo cistercense, tre in particolare mantengono un posto privilegiato, ciascuno nella sua particolarità e insieme nel loro equilibrio dinamico: la preghiera, la lettura – meditazione – studio, e il lavoro. Poiché della preghiera parliamo nella pagina dedicata alla Liturgia (la preghiera è come l’anima personale, il respiro personale della liturgia) offriamo qui qualche pensiero sulla meditazione-lectio.

San Benedetto è molto sobrio (RB 55-58): “Ascoltare volentieri la lettura della parola di Dio, dedicarsi con frequenza alla preghiera; in questa confessare ogni giorno a Dio con profondo dolore le colpe passate e cercare di emendarsene per l’avvenire.” Ma lega esplicitamente la lectio alla genesi e perseveranza del processo di conversione (lectio – preghiera – contrizione, confessione) e  le Costituzioni mantengono lo stesso rapporto, collegando la lectio all’atto di fede che  sostiene tutta la vita della persona consacrata. Leggere, e poi studiare, e poi meditare, con-siderare (nel senso etimologico di “fissare una stella” per leggervi i segni del destino), fissare lo sguardo del cuore e della mente su quella fonte di luce che è la Parola di Dio letta nella vita della Chiesa.

La Costituzione in proposito infatti afferma:

C. 21    La Lectio divina

Un’assidua Lectio divina è di grande sostegno alla fede in Dio delle sorelle. Questo importante esercizio della vita monastica, con il quale si ascolta e si “rumina” la parola di Dio, è sorgente di orazione e scuola di con­templazione, in cui la monaca parla cuore a cuore con il Signore (“ruminare” è il termine classico che la tradizione monastica usa per indicare il lento lavorio di appropriazione delle parole). Alla Lectio divina le sorelle dedichino quindi ogni giorno uno spazio conveniente di tempo. Leggere significa che ciascuno entra a contatto dalla tradizione concreta in cui è, cioè dalla comunità che la accoglie, con la grande tradizione spirituale della Chiesa, il suo Magistero,  i suoi Padri e Dottori, i suoi Santi, piccoli e grandi e in particolare quelli che si sono santificati nella fedeltà alla vita monastica,  attraverso i loro scritti e la testimonianza della loro vita raccolta nei documenti liturgici, giuridici, storici e spirituali-dottrinali, che sono il  nutrimento per la preghiera, la fede, la speranza e la carità. Uno scrittore del XII secolo nel Liber de modo bene vivendi [3] dice “Una serva di Cristo deve sempre pregare, leggere e lavorare …. Sorella carissima, dividiti lo spazio della giornata in tre parti: nella prima prega, nella seconda leggi, nella terza parte lavora. Il Re … queste tre cose ti son moltissimo necessarie, cioè la preghiera, la lectio e il lavoro”.

Benedetto XVI parlando ai giovani del nostro tempo commenta questo versetto del sl 118, “Lampada ai miei passi è la tua parola”:

“Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire. Leggendola, imparerete a conoscere Cristo. Osserva in proposito San Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (PL 24,17; cfr Dei Verbum, 25). Una via ben collaudata per approfondire e gustare la parola di Dio è la lectio divina che costituisce un vero e proprio itinerario spirituale a tappe. Dalla lectio, che consiste nel leggere e rileggere un passaggio della Sacra Scrittura cogliendone gli elementi principali, si passa alla meditatio, che è come una sosta interiore, in cui l’anima si volge a Dio cercando di capire quello che la sua parola dice oggi per la vita concreta. Segue poi l’oratio, che ci fa intrattenere con Dio nel colloquio diretto, e si giunge infine alla contemplatio, che ci aiuta a mantenere il cuore attento alla presenza di Cristo, la cui parola è “lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2 Pt 1,19). La lettura, lo studio e la meditazione della Parola devono poi sfociare in una vita di coerente adesione a Cristo ed ai suoi insegnamenti” [4]

La lectio è “divina” perché è la lettura di ciò che lo Spirito di Dio ha ispirato agli Scrittori Sacri e che la Chiesa ha raccolto e custodito nel canone. Parte da una attenta  e umile considerazione della Parola di Dio,  quella che ogni giorno ci viene regalata, elargita. Chi legge sa di essere l’ultima di una lunga schiera di monaci  e monache che quella stessa parola hanno letta, meditata, ruminata, e perciò raccoglie le briciole o grani di sapienza che questi hanno lasciato.

La tradizione (nel magistero vivo della Chiesa e della propria casa) e la Parola di Dio costituiranno i due fiumi di sapienza e di vita cui la monaca potrà attingere senza avarizia, da cui dovrà ripescare ogni giorno le motivazioni che sostengono la sua vita, e che nel caso le venga chiesto, potrà condividere con altri. Alla Parola di Dio occorre accostarsi con umiltà, come Mosè che si toglie i sandali davanti al roveto ardente, facendo precedere la lettura da una breve invocazione allo Spirito che assista, illumini, apra il significato delle parole. Ci si accosta al testo con rispetto e attenzione, lasciando che le parole risuonino in noi in tutta la pienezza del loro significato, e la Parola è viva, e suscita sempre nuove risonanze. Gli antichi che non possedevano troppi libri, né tanto meno il computer e la posta elettronica, stipavano le loro menti con le Parole tratte dalle Scritture, così che quando parlavano attingevano da una riserva senza fondo, e quando leggevano paragonavano ciò che leggevano con quanto avevano già interiorizzato nel grembo della memoria. Al primo momento di lettura segue un momento di raccolta (raccogliere:  collegare insieme) di tutti i frammenti di parole trovati perché formino una frase sensata, portatrice di un messaggio: è il secondo momento della meditazione o riflessione. La Parola fatta risuonare nel cuore, raccolta nella memoria, scrutata con l’intelligenza, interpella la nostra vita, svelandoci cose che non conoscevamo o non capivamo. La meditazione si fa allora preghiera, domanda a Dio che la Parola ascoltata e capita si faccia vita.

L’ultimo momento la contemplatio è sì conoscenza saporosa e gustata del Signore ma anche momento di comunione profonda con quanti meditano, leggono, pregano la stessa Parola. L’unificazione della propria vita attorno al centro che è la Parola di Cristo diventa anche nel momento stesso comunione con i fratelli  e le sorelle che si lasciano interpellare dalla stessa Parola e Scrittura, ascolto e teologia, esperienza e dottrina, fede e ragione,  si possono unificare nella misura in cui nella persona avviene quell’esperienza di unificazione interiore dove tutte le cose stanno al loro posto e sono chiamate con il loro nome, dove né ci si gonfia per la superbia non riconosciuta, né ci si abbatte per la conoscenza di una verità quando ci umilia, ma si sta saldi nel respiro della fede, sicuri della misericordia che ci ha raggiunti e radunati : proprio qui è l’origine non solo della preghiera ma di un modo di pensare nuovo, che ha al suo centro Cristo e valorizza tutte le dimensioni – potenze della persona, liberandole da quella pigrizia metafisica che è la tristezza infeconda del nostro tempo.

“Il monaco è e rimane essenzialmente un cercatore di Dio prima e al di sopra di tutto. Dedicarci a questo unico compito, è in realtà e rimane in ogni tempo l’esperienza di avvicinarci a un Fuoco divorante, accanto al quale non si può resistere: perciò tutti i tentativi di riduzione o di fuga. D’altra parte, solo questo Fuoco è la sorgente di quell’energia che ha cambiato il mondo, lo cambia e lo cambierà ancora. Questo Fuoco è stato reso raggiungibile, accostabile, sopportabile per noi dall’Incarnazione di Cristo. Se la nostra speranza nel monachesimo non è anzitutto una disponibilità continua a rifondare la nostra vita su Cristo come unico centro possibile, unica fonte di ispirazione, unico tesoro delle nostre vite e delle nostre comunità, il monachesimo muore – e tanto vale che muoia. Se invece questo continuo rifondarci su Cristo si realizza, cambia anche l’approccio culturale, la lettura della realtà, e si vede. Nasce una capacità di interpretazione secondo verità che è luce – e la luce si vede.” (Dal Capitolo per la I Dom di Avvento 2005 Sr. Monica della Volpe).

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1 – CLAUDIO STERCAL, Bernardo e la genialità dell’esperienza cistercense, in AVV BERNARDO DI CLAIRVAUX; Epifania di Dio e parabola dell’uomo. Jaca Book , Milano, 2006 pag. 1- 15.  [⇑]

2 – Carta Caritatis Prior, Prologo 3, in Le origini cistercensi, Documenti, a cura di C.Stercal, Milvia Fioroni, Jaca Book, Milano 2004, p. 119. [⇑]

3 – Liber de modo bene vivendi (1174) (cf. PL 184,1272-3) J. Leclercq, Études sur le vocabulaire monastique du Moyen Âge, Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma 1961, 143. [⇑]

4 – Benedetto XVI Messaggio per la GMG 2006. [⇑]

Documenti

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