P. Girolami, Capitolo della 12.a Domenica del T.O. – B

P. Girolami, Capitolo della 12.a Domenica del T.O. – B

È sera. Sulla riva del lago di Tiberiade alcune barche ormeggiate. Gesù, che ha parlato e ammaestrato le folle tutta la giornata, sale su una di queste per attraversare il lago e andare all’altra sponda. Ma durante la traversata, nella notte, scoppia una tempesta. Le onde sono così alte e forti che la barca si riempie d’acqua e rischia di affondare. I discepoli sono spaventati, mentre Gesù – incredibilmente – dorme. Lo svegliano, chiedendo aiuto, e Gesù placa la tempesta e fa tornare la bonaccia.

È per sommi capi il Vangelo di questa XII domenica del tempo per annum, su cui convergono anche le due letture e a cui fa da pendant il salmo responsoriale, e di cui cerchiamo di cogliere alcuni aspetti.

Innanzitutto la collocazione di questo episodio nel Vangelo di Mc, che è come un intermezzo e un trait d’union fra il capitolo 4° sulle parabole e i miracoli che manifesteranno la signoria di Gesù sul male e sulla morte nel cap. 5° (l’indemoniato Geraseno, l’emorroissa e la figlia di Giairo). Anzi, in qualche modo, anche questo stesso racconto è una parabola, e quello che avviene su questa barca è in un certo senso anch’esso una parabola del regno. Gesù dorme a poppa proprio come il seme riposa nel terreno. Il contadino non può fare nulla in questa fase, tuttavia, sia che dorma sia che vegli, “di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli non lo sa” (Mc 4,27). Il seminatore deve nutrire fiducia nella potenza del seme, che sembra inattivo. Allo stesso modo i discepoli devono imparare ad avere fiducia in Gesù e nella sua salvezza, anche quando egli dorme.

Ma vediamo meglio alcuni tratti di questa pagina evangelica che troviamo raffigurata in almeno due celebri pitture, di Rembrandt e Delacroix, che sono anch’esse una meditazione su questo Vangelo.

La tempesta e l’azione di Gesù che la placa con una naturalezza sorprendente. Placare la tempesta è segno prima di tutto della potenza di Dio che rivela anche l’identità messianica di Gesù nella prima parte del racconto di Mc. E a questo proposito la domanda del libro di Gb nella prima lettura si incontra con quella dei discepoli nel finale di Mc.

«Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?» – dice Dio stesso a Giobbe. La risposta è evidente: nessuno se non Dio solo, nessuno se non Colui che ha creato il mare stesso. Allo stesso modo: chi può placare e venti e la tempesta se non il Figlio di Dio a cui Dio concede lo stesso potere? Per questo i discepoli alla fine si dicono: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» È il Messia, è l’inviato di Dio, è il Figlio stesso di Dio, ci suggerisce l’evangelista. Gesù, cioè, dopo aver già mostrato, fin dai primi capitoli la sua potenza sul male e sulla malattia, mostra ora anche la sua signoria sugli elementi della natura, aggiungendo una pennellata al suo ritratto e svelando un altro tratto della sua identità. I discepoli, in realtà, se vogliono, hanno gli elementi per poter rispondere alla loro domanda: «Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» È il Figlio di Dio, e non può essere che lui, perché nessun essere umano potrebbe fare altrettanto. (…)

 

Vuoi ricevere tutte le mattine via email un brano della Regola di San Benedetto da meditare? Iscriviti alla nostra newsletter!

Usa un indirizzo email che usi regolarmente: dovrai confermare la tua richiesta nell'email che riceverai. Se non ricevi il messaggio controlla nella cartella SPAM della tua casella. Senza la tua conferma non potremo iscriverti.

Tutela della Privacy

Views: 9