Benedetto decide di cominciare la sua Regola con un invito all’ascolto: «Ascolta figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore»: mettersi in ascolto, aprire il cuore e aprirlo docilmente.
Siamo sempre pronti parlare, ma poco disposti ad ascoltare e basterebbe osservare alcuni nostri dialoghi quotidiani che sembrano aver ispirato il teatro dell’assurdo, quando le frasi sono gettate come affermazioni che non hanno nulla a che vedere con quella precedente. Tutto questo ha una motivazione semplice e drammatica: non abbiamo a cuore chi ci sta parlando e il teatro dell’assurdo diventa puro realismo, [«ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira» (Gc 1, 19)].
Avete notato che anche i comandamenti dell’Esodo che abbiamo ascoltato sono al futuro: c’è un tempo dell’ascolto e un tempo dell’azione, dell’occasione in cui metterò in pratica quanto ascoltato.
C’è una possibilità di leggere ‘pastoralmente’ questa pagina – siamo di fronte ai problemi delle prime comunità cristiane che già non ascoltano, pur avendo ancora viva la memoria storica di quei fatti) – ma c’è anche una possibilità più ‘spirituale’ di leggere il vangelo di oggi: i diversi tipi di terreno sono io nella mia vita, nella mia giornata e forse non ci sono categorie determinate in termini assoluti (gli aridi, i fecondi…). «Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto». Abbiamo un’idea tormentata della preoccupazione, mentre si può presentare nella forma dell’allegra ed impegnata distrazione: quanto tempo dedichiamo a cose che non si meritano quel tempo? Citando la prima lettura, non ci prostriamo più agli idoli, ma rischiamo di intrattenerci amabilmente con loro.
Ma al di là delle nostre durezze e difficoltà, stamattina c’è una grande, splendida notizia: il seminatore semina abbondantemente ovunque, in maniera anche incomprensibile e apparentemente insipiente, sta dando a tutti una possibilità [monito per i ministri del vangelo: la parola va seminata con abbondanza e non solo dove noi riteniamo con certezza che porti frutto].
Questa è la prova che nella parabola si parte da azioni note per arrivare a dire ben altro, ben di più: quale seminatore palestinese dell’antichità avrebbe gettato così il seme dappertutto senza un minimo di accortezza? Forse qui ci si sta dicendo altro: il seminatore è generoso e abbondante, la questione è che terreno sarò io quando il seme arriverà.
Il Signore non ci chiede poi di essere performanti, non dobbiamo produrre tutti cento, ma anche sessanta, trenta per uno: il Signore non misura solo il frutto, ma anche la fatica perché un terreno, come lo stesso vangelo ci insegna, si prepara con amore e con pazienza ogni giorno e ognuno conosce i suoi rovi da estirpare, i suoi sassi da togliere e le sue zolle da dissodare.
don Lorenzo Mancini
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