Anche noi quando guardiamo le folle di sofferenti e perseguitati possiamo provare compassione, ma il nostro sguardo non è lo sguardo di Dio.
Se il nostro sguardo non è deviato dall’indifferenza, quando guardiamo gli affaticati e gli oppressi al massimo siamo percorsi da un sentimento di tristezza e di impotenza davanti all’impossibilità di poter fare qualcosa: Gesù, invece, con lo sguardo coglie la sofferenza e con la sua parola, libera, solleva, disseta. E non è la buona parola che ci può dire l’amico, è la Parola che salva. È lo sguardo che parte dalle viscere di misericordia di Dio.
E poi due cose che non tornano, per così dire, a nostro vantaggio:
- c’è un giogo, ma è soave e Matteo è esperto di carichi pesanti dovuti non all’osservanza della legge, ma all’osservanza dell’osservanza. Un monastero sa bene che cosa voglia dire mantenersi autenticamente fedeli ad una norma di vita.
- c’è un ristoro, ma non è un punto di ristoro, non è una pausa di ristoro, ma è un ristoro per la vita: è continuo ed è di qualità, ci dà gli elementi di cui abbiamo bisogno nella fatica del cammino. Che cosa ci dà il mondo nella fatica? Lo dico col linguaggio dell’estate: una bibita gassata, ghiacciata e dolce. Effetto: poco dopo ancora più sete e più sensazione di caldo.
Gesù è poi mite e umile di cuore, ma la sua mitezza e la sua umiltà, sono da riferirsi alla sua regalità: non siamo di fronte a dei semplici comportamenti per limitare i conflitti (che sarebbe già qualcosa!); di più: stiamo edificando il regno e il giogo soave è quel nuovo modo di intendere la legge di Dio, non basato su un adempimento formale – anche un po’ ipocrita –, precettistico. La legge non è abolita e non è cambiata, è ricompresa nella sua ratio originale: l’amore di Dio per il suo popolo e la sua volontà di farlo riposare dalle sue fatiche e dalle sue oppressioni. Questo è Io-Sono, il Dio il cui nome è al di sopra di ogni altro nome, il Dio che cavalca un asino, come, appunto, un re in tempo di pace.
don Lorenzo Mancini
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