Corazin, Betsaida, Cafarnao; ma la lista potrebbe continuare con altri nomi, i nostri, in un serrato esame di coscienza.
Sono le città che non si sono convertite, ma questo è un effetto; c’è un fatto che precede: in esse sono avvenuti la maggior parte dei prodigi. Sono innanzitutto città ingrate.
Attenzione che non è una questione di bon ton [beh…ti è stato fatto un dono, si potrebbe almeno dire grazie!], ma è proprio una delle dinamiche della conversione: lo stupore e la meraviglia, generano la gratitudine e la gratitudine genera l’impegno.
La gratitudine non è solo riconoscenza, ma è anche disponibilità a contraccambiare. C’è dentro la parola grazia e la grazia è sempre in vista di qualcosa.
A pensarci bene l’ingratitudine è molto furba, perché è l’atteggiamento col quale ci dispensiamo dall’impegno: “non è proprio quello che cercavo” e non è questione di ‘soddisfazione del cliente’ (e siamo clienti sempre più difficili), perché siamo di fronte ad un dono da parte di un padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno prima che gli sia chiesto.
Questo vale in tutti i contesti della conversione: con noi stessi, con gli altri, ma anche in scenari ben più vasti e complessi, penso alla questione ambientale: non c’è ecologia integrale se non c’è stupore e meraviglia per il creato che diventa cura della casa comune.
«Se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi», ma a Tiro e Sidone sono avvenuti prodigi e noi vogliamo avere lo stesso atteggiamento della siro-fenicia e della cananea, massacrate dalla vita, ma che sanno ancora aprirsi alla prospettiva del mistero, un mistero che ampiamente le ripaga.
don Lorenzo Mancini
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