LA VANITÀ E IL BENE DELLA VITA – TRA IL NULLA E IL PARADISO
Qo,1,2;2,21-23; Sl 89; Col3,1-5;9-11; Lc 12,13-21
La liturgia di questa domenica ci fa entrare in un clima particolare, si tratta di una liturgia chiaramente sapienziale, per il vocabolario, i temi, le risposte che suggerisce; ma di una sapienza critica, una sapienza che non uccide la domanda mettendo prima la risposta, ma ci fa ascoltare tutta la drammaticità della domanda
Chi può dovrebbe recitare lentamente tutto il salmo ottantanove centellinandolo, è il salmo che chiede la sapienza del cuore, cioè il dono della prudenza, la sapienza del cuore nel contare i giorni per sé, ma anche la sapienza regale nel governare. Con il Qoelet incontriamo un re che però è uno che è stato re, è un personaggio del tutto avvolto di mistero, il suo stesso nome non è un nome proprio, e significa “colui che raduna l’assemblea”, la Chiesa, perciò i LXX hanno tranquillamente tradotto Ecclesiaste e Girolamo, seguito da Lutero, lo definisce come “Il predicatore”, Contionator, Gregorio di Nissa con l’ingenuità dei primi padri dice che questo è l’unico libro della Bibbia che poteva essere letto tutto, direttamente in chiesa, perciò si chiama Ecclesiaste. Ha fatto invece la sua fatica a essere ammesso nel Canone come parola ispirata, la sapienza che ci fa conoscere è piuttosto critica e si avvicina più a Giobbe che non alla sapienza dei salmi del Siracide.
La prima lettura e Vangelo formano un dittico e pongono IL problema dell’esistenza. Lo pongono in modo attuale, drammatico, e realistico. La seconda lettura dà la chiave di risposta, il salmo pone il lettore della pagina divina nell’atteggiamento giusto: di adorazione.
Il Qoelet: pone il problema dell’inconsistenza delle cose e della vita, il niente, il nichilismo non gaio ma disperato, deluso scettico e non impegnato. Si tratta di un rapporto con le cose e con il mondo che ne vede tutta l’inconsistenza e ne prende spunto per ritrarsi da esse. In senso cristiano questo libro è stato letto come un primo gradino di ascesi per accostarsi poi alla gioia della vita celebrata nel cantico dei Cantici; il Qoelet per Origene e Bernardo farebbe vedere il primo passo da fare per chi inizia un cammino di ricerca del volto di Dio, il distacco dalle cose del mondo di cui si intuisce la precarietà. I termini in questione sono tre: la realtà delle cose in sé; il lavoro che l’uomo compie nel rapporto con il mondo; la ricompensa che ne ricava…A tutte queste la risposta è una: vanitas, vuoto, nulla
All’opposto il vangelo presenta la tentazione dell’idolatria delle cose, l’accumulo delle ricchezze dei beni come fossero in sé un valore per i l quale spender la vita La ricchezza, come s e in esse consistesse il tutto dell’esistenza.
Tra la tentazione del nulla e la tentazione dell’idolatrare la creazione la seconda lettura indica la via della risposta: l’anagogia: cercare le cose di lassù…Fare come dice san Bonaventura, della realtà una scala che conduce alla realtà più profonda, stabile, consistente, durevole, non effimera, non ingannevole Cosa sono queste cose di lassù? Come quando nel padre nostro si dice “che sei nei cieli” e non si indica un luogo materiale, ma una dimensione, così il palare di “cose di lassù” non indica un luogo, ma dimensione vera dell’essenza delle cose, della loro realtà profonda. Diciamo che lassù, e profondità si ricongiungono. Il termine spaziale è in realtà un termine dove lo spazio è figura di un a – fondo esistenziale.
Tra la disperazione atea e l’idolatria pagana c’è la partecipazione creaturale all’essere che pone ogni creatura in un ordine dato dal modello archetipo secondo cui le cose e la persona umana è creata: Gesù Cristo, Sapienza. Questo tipo di partecipazione ai beni della creazione è l’unica possibile e che salva dalla deriva morale dell’epicureismo, giustificato dal nulla vale dunque prendi la gioia del momento, oppure, accumula tutto esclusivamente per il tuo piacere. Ma se la realtà tutta è specchi o e rimando a una Presenza misteriosa che è alla sua origine il cristiano sa valorizzare tutto, sa vedere il valore di tutte le cose come segno di colui che le dona. Il rapporto con il Signore Gesù principio e modello della creazione salva il rapporto con il mondo.
Cristo Risorto è il punto che permette alla storia umana da cambiare da vanitas vanitatum a realtà gioiosa. È la vittoria sul peccato…le realtà di cui si parla in effetti qui: il lavoro, la vita, i beni, la morte…sono comparse ad angosciare la vita dopo il peccato, perciò la seconda lettura dice: spogliatevi dell’uomo vecchio. L’uomo nuovo che cerca pensa gusta le cose eterne, cioè che hanno una durata e una consistenza che non tradisce.
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