Md. M. Francesca Righi, Capitolo della XIV Domenica del T.O.

Md. M. Francesca Righi, Capitolo della XIV Domenica del T.O.

Tre vocazioni: profetica apostolica sapienziale

 

Le letture ci presentano tre figure di chiamati alle prese con le difficoltà, il senso, la necessità della loro missione; un profeta in esilio, un apostolo nella sua debolezza, il Figlio di Dio scambiato con il figlio del falegname. Si tratta di tre vocazioni o di tre aspetti dell’unica vocazione che trovano nella vita monastica il vertice per così dire la piena realizzazione per la sequela senza condizioni di Colui che è Profeta, Apostolo del Padre e pienezza di sapienza, Cristo.

Nella prima lettura (Ez 2, 2-5) il profeta Ezechiele riceve la chiamata che lo rialza da una condizione di prostrazione e lo fa stare in piedi, e gli affida un compito grande in confronto sia con la debolezza della sua condizione mortale, sia la difficoltà del compito: annunciare la Parola a un popolo dal cuore indurito. Il profeta Ezechiele di fronte alla durezza di cuore e cervice indurita dei suoi ascoltatori è messo a confronto con la necessità della vocazione profetica. Ma a ben vedere questo testo che la liturgia sceglie è solo il secondo momento della chiamata: il primo lo atterra con la visione del carro, dei viventi poi, della Gloria che abita dove è il popolo. Solo allora quando è con la faccia a terra la Voce lo rialza, e lo mette in piedi per ascoltare. Dalla visione si passa all’ascolto, e poi alla missione. Paradossalmente alla fine il profeta è muto… per l’ostilità degli ascoltatori. Ezechiele tace, non dice nulla: questo è caratteristico della sua vocazione, Ezechiele parlerà con la vita, con i gesti simbolici.

Seguendo ciò su cui stiamo lavorando, la separazione dal mondo come aspetto primario del voto di conversione dove è qui la separazione dalla mondanità?

  1. La Gloria che si manifesta nella prima parte della vocazione non è la gloria del chiamato, ma del chiamante: cerchiamo ciascuno una propria glorificazione
  2. Riceve un compito grande e difficile sproporzionato alla sua debolezza: non possiamo contare sulle nostre forze, né dire di sì in base a dei calcoli, né avere l’assicurazione sulla riuscita
  3. Istintivamente vorremo un compito grande che si realizzi senza fatica: qui abbiamo un popolo dal cuore indurito cui dare un messaggio inusuale

Il salmo responsoriale nel salmo 123 dà voce alla preghiera del servo i cui occhi sono rivolti al Signore.

Nella seconda lettura (2 Cor 12, 7-10) Paolo si trova confrontato non più con una difficoltà che viene dall’esterno, ma con lo scandalo della sua stessa debolezza, con la spina nella carne. Paolo è nella stessa condizione di Gesù tra il Gehtsemani (la spina nella carne) e il Tabor, la trasfigurazione, significata per lui dal rapimento al terzo cielo. E così anche per lui l’esperienza della propria debolezza è il secondo tempo della chiamata. Il primo è la visione di Damasco, e il rapimento al terzo cielo, che corrisponde alla visione della Gloria, il secondo è l’esperienza della propria debolezza…

Rispetto alla separazione dalla mondanità questo chiede una separazione dal perfezionismo moralistico per cui la chiamata dovrebbe coincidere con la propria bellezza integrità e splendore. La logica del Vangelo è altra, quando piu uno è cosciente della propria debolezza tanto piu essa diventa il luogo in cui l’Altro può operare.

Quante volte mi accade di negare il bene che vedo per non affermare la positività di qualche sorella. Qui non avevano nulla di negativo da segnalare se non l’umiltà delle sue origini.

La mondanità da cui suggerisce di separarsi è che la vocazione coincida con una riuscita pubblica, con una approvazione mondana, con una nobiltà mondana. Non per nulla qui viene sottolineata l’identità sapienziale di Cristo: la sapienza mondana è una cosa, la sapienza di Cristo è fondata sulla croce. Perla sapienza mondana dolore fatica nascondimento sono un ostacolo, per la sapienza di Cristo sono il mezzo privilegiato.

Sono un profeta, un apostolo e il Messia stesso, di fronte alla difficoltà del ministero e alla ineluttabilità, se si può dire così, della parola che è loro affidata. In realtà a bene vedere siamo davanti a tre racconti di vocazioni. Anche solo considerando a vocazione di Ezechiele e la vocazione di Paolo le vediamo dipanarsi in tre momenti analoghi.

Un primo momento in cui prevale la visione. Per Ezechiele la visione del carro, dei viventi della figura misteriosa ed è la visione della gloria che non è più solo circoscritta nel tempio ma è accanto e dove sono gli esuli. Per Paolo sarà il rapimento al terzo cielo, ma anche prima la caduta da cavallo e la visione del figlio dell’uomo.

Per entrambi poi il secondo momento è quello della prostrazione dopo l’apparizione della gloria dove alla visione si sostituisce l’ascolto. Ezechiele viene rimesso in piedi per ascoltare e così Paolo. Per Paolo dopo l’esperienza del terzo cielo ciò che certifica la sua vocazione apostolica è la spina nella carne.

Per Ezechiele dopo la visione della gloria la voce che lo rialza e che gli parla e la mano tesa che gli offre il rotolo (Parola) da mangiare (interiorizzare, trasformarsi nella parola). E per l’uno e l’altro dopo la visione e l’ascolto l’invio a fare della parola ricevuta il contenuto della missione, la sentinella per Ezechiele la testimonianza del vero apostolo per Paolo:

Ezechiele davanti a una genia di ribelli

Gesù davanti all’ottusità del suo popolo

Paolo che egli stesso è la punta di diamante del popolo degli Israeliti, per zelo e per ribellione diventa poi il cambiato… la prima spina nella carne è lo schiaffo della caduta da cavallo che in latino è espressa con lo stesso termine: stimulus

Ut inhabitet in me…il verbo greco è il medesimo di Gv 1,14: mettere la tenda…Lo scandalo ultimo è che Dio mette la tenda nella nostra umanità. Così in trasparenza della lettura di Paolo intravediamo Cristo al Gehtsemani, al Tabor e Maria all’Annunciazione: dove la potenza dell’Altissimo la copre della sua ombra e pone in lei la sua tenda.

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