Padre M. Raymond, ocso, nel suo libro, offre un racconto avvincente sulla vita di alcune sante cistercensi, di cui anticipiamo delle brevi note biografiche, ma che ovviamente non possono sostituire il piacere di leggere il libro di P. Raymond.
Brevi note biografiche
Tongres, 1182 – Aywières, Brabante, 16 giugno 1246
Nata a Tongres nel 1182, in Belgio, Lutgarda a dodici anni entrò fra le Benedettine di Santa Caterina a Saint-Trond. Eletta priora, nel giorno stesso della nomina lasciò il suo monastero per raggiungere la comunità cistercense di lingua francese a Aywières in Brabante dove Lutgarda si ostinò a parlare fiammingo. Appartenendo al gruppo di pie donne del XIII secolo che condussero un’intesa vita mistica, Lutgarda fu devota dal Sacro Cuore che le concesse apparizioni e incontri commoventi. Si sottopose a un regime di austerità per la conversione degli albigesi, di alcuni signori della regione e dei poveri peccatori dei dintorni. Avrebbe ottenuto guarigioni miracolose per intercessione delle anime del Purgatorio. Divenuta cieca, visse ancora per undici anni esercitando un forte influsso sui devoti del suo tempo. Morì il 16 giugno 1246. Il 4 dicembre 1796 la comunità, per sfuggire alle conseguenze della Rivoluzione francese, si rifugiò a Ittre con le reliquie della santa. Nel 1870 le preziose spoglie divennero proprietà della chiesa parrocchiale per passare, sette anni dopo, a Bas-Ittre dove sono custodite tuttora. È patrona dei fiamminghi. (Santi e Beati)
Carlet, Valenza, XII sec. – Alzira, 21 agosto 1180
Sorelle di Bernardo (Hamed) come lui si convertirono cambiando il nome, Zoraide in Grazia e Zaida in Maria e battezzate. Il fratello Almanzor, non convertito al cristianesimo, invece fu preso dal furore e Bernardo fu costretto a fuggire insieme a Grazia e Maria; ma vennero raggiunti ad Alzira e uccisi a colpi di pugnale il 21 agosto 1180, alla presenza del crudele fratello musulmano.
I loro corpi vennero sepolti in Alzira, in seguito il re di Aragona, Giacomo I (1213-76), una volta liberata la città dai Mori, fece costruire in loro onore una chiesa, affidandola ai Trinitari.
La loro celebrazione ha avuto varie date, secondo l’Ordine Cistercense di Spagna, il 23 luglio, poi il 19 maggio, poi il 1° giugno. Il recente ‘Martyrologium Romanum’ l’ha fissata nel giorno della loro morte, cioè al 21 agosto. (Santi e Beati)
Ascelina (1121-1195), era una monaca cistercense e mistica francese.
Trascorse la maggior parte della sua vita nel convento cistercense di Boulancourt, nell’Alta Marna, in Francia. Si ritiene che fosse parente di San Bernardo.
Nata a Schaerbeek, nei pressi di Bruxelles, nella prima metà del sec. XIII, a sette anni entrò nel monastero cistercense di La Cambre, fondato da pochi anni, per essere istruita ed educata. Aleide, che era una graziosissima fanciulla, mostrò ben presto una intelligenza superiore e un grande amore verso Dio. Col passare degli anni, vestito l’abito monacale, si accrebbe la sua virtù e Aleide ebbe il dono di una visione divina, in cui, in segno delle acerbissime sofferenze che avrebbe patito, le fu data da Dio una croce d’oro. Il Signore la sottopose ad una terribile prova: Aleide fu colpita, infatti, dalla lebbra che la consumò per lunghi anni, riducendola a un povero corpo purulento. Segregata dalla comunità, offrì le sue sofferenze per la salvezza dei peccatori e la liberazione delle anime purganti. Di una sola cosa si doleva, di non poter ricevere la comunione sotto ambedue le specie. Infatti, per timore del contagio, le era interdetto accostare le labbra al calice. Tuttavia anche di questa privazione fu consolata dal Signore che le apparve e le disse: « quicumque de corpore meo gustaverit, similiter et de sanguine gaudeat, se indubitabiliter recreari: quia ubi pars, ibi totum; nec pars potest dici, sed totum debet reputari ». Nel 1249, il morbo distrusse gli occhi di Aleide ed ella dedicò a Dio questa ulteriore sofferenza, per le intenzioni di Guglielmo, re dei Romani, e di san Luigi, re di Francia, che partiva per la VI crociata.
L’11 giugno 1249 una visione rivelò ad Aleide che sarebbe dovuta rimanere su questa terra ancora un anno. Infatti, secondo la profezia, Aleide morì l’11 giugno 1250, e si narra che coloro che l’assistevano negli ultimi momenti, videro la sua anima volare direttamente in paradiso.
Con decreto del 1° luglio 1702 Clemente XI concesse ai monaci Fuliensi della Congregazione di San Bernardo la facoltà di celebrare la festa di Aleide, il cui culto nel 1870 fu esteso a tutto l’Ordine cistercense e nel 1907, ufficialmente autorizzato da Pio X, a tutte le diocesi del Belgio.
La festa di Aleide cade l’11 giugno, ma nell’Ordine cistercense e nella diocesi di Malines è celebrata il 15 giugno. Nel Menologio Cistercense il nome di Aleide è ricordato il 12 giugno. (Santi e Beati)
Vitalta, Piacenza, 1175 – Pittolo, 25 aprile 1218
Nacque nel 1175 da genitori appartenenti alla nobile famiglia dei conti di Vitalta, nel territorio piacentino. Giovanissima entrò nel monastero benedettino di S. Siro, uno dei più fiorenti dell’epoca, dove a quattordici anni pronunciò i voti solenni. Nel 1198, alla morte della badessa Brizia, fu eletta in suo luogo; la sua decisione di introdurre nel monastero la vita regolare le suscitò contro forti opposizioni, sia da parte di alcune nobili famiglie piacentine che avrebbero visto volentieri un’altra a capo delle religiose, sia da parte di un gruppo di monache, capeggiate dalla sorella del vescovo Grimerio (1199-1210), il quale, però, illuminato da s. Folco Scotti, allora prevosto di S. Eufemia, fece cessare ogni opposizione.
Per desiderio di maggior perfezione, nel 1214 accolse l’invito e l’esempio di Carenzia Visconti, che aveva fondato sul Montelana un monastero femminile cistercense. Ne ebbe la nomina a badessa pur conservando, per qualche tempo, I’amministrazione di S. Siro. La comunità si trasferì presto per ragioni di sicurezza e di comodità a Pittolo, facendovi sorgere un monastero che Franca resse fino alla sua morte, avvenuta il 25 aprile 1218. Ivi fu sepolto il suo corpo, oggetto di venerazione e mezzo per cui Iddio operò molti prodigi. Dopo varie traslazioni esso si trova ora nella chiesa delle Benedettine di S. Raimondo in Piacenza.
Il suo culto, approvato, pare oralmente, dal b. Gregorio X, è diffuso non solo nella diocesi di Piacenza, ma in quelle limitrofe di Pavia e Bobbio. La santa è particolarmente invocata contro il mal d’occhi. Si suole raffigurarla o nell’abito cistercense o in quello benedettino. Una festa solenne si svolge l’ultima domenica di agosto sul monte S. Franca (già Montelana) dove sorge in suo onore un oratorio: è una sagra interprovinciale con grande afflusso di pellegrini. (Santi e Beati)
Coimbra, Portogallo, 1181 – Lorvão, Portogallo, 18 giugno 1250
La Beata Teresa del Portogallo, al secolo principessa Teresa Sanches de Portugal, è forse la meno famosa tra le sante che portano il bel nome di Teresa, seppur sia talvolta citata come Tarasia o Tareja. Esponente della numerosa prole di Sancio I, secondo sovrano portoghese, suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo. Sono dunque sorelle di Sancia le beate Mafalda (2 maggio), badessa di Arouca, e Sancha (11 aprile), monaca cistercense, caso non unico nel vasto panorama di santità fiorito alle corti europee: sono infatti venerate come sante anche le tre sorelle principesse ungheresi Margherita, Kinga e Iolanda.
Teresa nacque nella città portoghese di Coimbra nel 1181 e sposò il suo consanguineo Alfonso IX, re di Castiglia e Léon, al quale diede tre figli: Sancha, Dulce e Fernando. Nel 1196 tale matrimonio fu dichiarato nullo per “impedimentum affinitatis” e quattro anni dopo Teresa si ritirò allora nel convento benedettino di Lorvao, che lei stessa aveva precedentemente fondato, e dopo averlo trasformato poi in abbazia cistercense nel 1229 prese il velo religioso.
Alla morte del padre Sancio I nel 1211, l’infanta Teresa avrebbe dovuto ereditare, secondo le disposizioni testamentarie di quest’ultimo, il castello di Montemor-o-Velho e tutto ciò che concerneva tale possedimento, compreso addirittura il titolo di “regina” in quanto signora di tale castello. Il nuovo sovrano Alfonso II, suo fratello, volendo accentrare nelle sue mani tutto il potere, non accettò dunque tale testamento ed impedì a Teresa di prendere possesso dei suoi titoli e dei redditi a lei spettanti, così come alle altre due infante sue sorelle Mafalda e Sancia.
Alla morte dell’ex marito nel 1230, Teresa favorì il passaggio della corona a San Ferdinando III, una dei cinque figli avuti da Alfonso IX da un secondo matrimonio con Berengaria, figlia di Alfonso VIII di Castiglia, incentivando così la pace tra i regni di Castiglia e di Léon.
Risolte le diatribe dinastiche, Teresa potè dunuqe trascorrere il resto dei suoi giorni con circa trecento consorelle nel monastero portoghese di Lorvão, ove morì il 18 giugno 1250. Le sue spoglie mortali furono ivi collocate accanto a quelle di sua sorella Teresa, che ella stessa vi aveva fatto traslare. Il 13 dicembre 1705 Teresa venne beatificata dal pontefice Clemente XI con la bolla “Sollicitudo Pastoralis Offici”, unitamente alla sorella Sancia. Il Martyrologium Romanum, nonché il calendario dell’ordine cistercense, commemorano la beata Teresa in data 17 giugno. (Santi e Beati)
Portogallo, 1180 circa – Celas, Coimbra, Portogallo, 13 marzo 1229
La Beata Sancia del Portogallo, al secolo principessa Sancha Sanches de Portugal, fu la figlia secondogenita di Sancio I, secondo sovrano portoghese. Suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo. Sono dunque sorelle di Sancia le beate Mafalda (2 maggio), badessa di Arouca, e Teresa (17 giugno), regina di Castiglia e Leon, caso non unico nel vasto panorama di santità fiorito alle corti europee: sono infatti venerate come sante anche le tre sorelle principesse ungheresi Margherita, Kinga e Iolanda.
Sancia nacque nella città portoghese di Coimbra intorno al 1180 ed alla morte del padre nel 1211 avrebbe dovuto ereditare, secondo le disposizioni testamentarie di quest’ultimo, il castello di Alenquer e tutto ciò che concerneva tale possedimento, compreso addirittura il titolo di “regina” in quanto signora di tale castello. Il nuovo sovrano Alfonso II, suo fratello, volendo accentrare nelle sue mani tutto il potere, non accettò dunque tale testamento ed impedì all’infanta Sancia di prendere possesso dei suoi titoli e dei redditi a lei spettanti, così come alle altre due infante sue sorelle Mafalda e Teresa.
Ormai spogliata di ogni suo diritto, la principessa preferì rinunciare al matrimonio per conservare intatta la sua verginità ed entrare nel 1229 tra le Cistercensi di Cellas, nel monastero che lei stessa aveva precedentemente contribuito a fondare nel 1216, nel quale prese anche l’abito regolare e trascorse il resto dei suoi anni. Vi morì dunque il 13 marzo 1229. I suoi resti mortali furono poi fatti traslare a Lorvao dalla sorella Teresa. Proprio unitamente a lei, il 13 dicembre 1705 Sancia venne beatificata dal pontefice Clemente XI con la bolla “Sollicitudo Pastoralis Offici”. Il Martyrologium Romanum, nonché il calendario dell’ordine cistercense, commemorano la beata Sancia in data 11 aprile. (Santi e Beati)
Il nome di battesimo le viene dalla nonna paterna, Mafalda di Savoia, figlia di Amedeo III e moglie di Alfonso-Enrico, primo re del Portogallo, che è indipendente dal 1145. Lei invece è figlia di Sancio, secondo re portoghese, che muore nel 1211, lasciando la reggenza alla regina vedova e il potere effettivo al ministro Nuñez de Lara. Ed è a questo punto che entra in scena la giovane Mafalda. Anzi, in scena l’ha trascinata Nuñez, in nome della ragion di Stato: al Portogallo, fortemente impegnato nella guerra di reconquista contro gli arabi, è assolutamente indispensabile una stretta amicizia col confinante regno di Castiglia. E, per le buone amicizie, un matrimonio è quello che ci vuole; sicché – decide il ministro – Mafalda sposerà Enrico I di Castiglia: e non importa se lui è un ragazzino più giovane di lei (destinato a morire per una disgrazia nel 1217).
A questo punto interviene papa Innocenzo III, per mezzo del suo legato, che impedisce il matrimonio (o forse lo annulla) perché Enrico e Mafalda sono parenti. Roma si immischia negli affari portoghesi perché questo regno, staccandosi da quello di Castiglia e León al tempo di Alfonso-Enrico, si era dichiarato vassallo della Santa Sede per averne protezione. Insomma, tutto va a monte e Mafalda finisce in convento.
Sembra una definitiva uscita di scena per la principessa. Invece Mafalda diventa protagonista proprio ora che si ritira come ospite nel monastero di Tarouca. Lì dentro deve notare molte cose storte; e che non sia tipo da sopportarle appare chiaro, quando decide di far piazza pulita di gerarchie e usanze, chiamando sul posto nel 1222 le monache cistercensi, dalla disciplina senza sconti. Diventa anzi una di loro. Poi si dà a creare ospizi e case religiose nei territori devastati dalla guerra, partecipando al grandioso sforzo collettivo per restituire vivibilità e fertilità alle campagne abbandonate. Lascia il monastero solo per i pellegrinaggi a Porto (Oporto) nella cattedrale, iniziata dalla nonna di cui porta il nome. Colpita da malattia in uno di questi viaggi, muore nel monastero in umiltà totale, coricata sulla cenere e col cilicio ai fianchi. Presto si comincia a parlare di miracoli avvenuti lì, presso la sua tomba. Una riesumazione del 1617 mostra il corpo ancora intatto. Papa Pio VI, nel 1793, ne autorizza il culto nelle comunità cistercensi. (Santi e Beati)
Buda (odierna Budapest), Ungheria, 18 febbraio 1374 – Cracovia, Polonia, 17 luglio 1399
Nota anche come Edvige d’Angiò o Jadwiga, fu regina (ufficialmente, però, il suo titolo era “re” anziché “regina”, per indicare che regnava per suo diritto e non in quanto consorte di re) di Polonia di origine ungherese.
Edvige fu la minore delle figlie di Luigi I d’Ungheria ed Elisabetta Kotromanic di Bosnia. Sia la madre di Edvige che quella di Luigi, Elisabetta (figlia di Ladislao I di Polonia, Łokietek), erano discendenti della Casa Reale dei Piasti, un’antica dinastia nativa della Polonia. Edvige era dunque bisnipote di Ladislao I, che aveva riunificato il regno polacco nel 1320. Regina di Polonia dal 1384 e Granduchessa di Lituania dal 1386, è venerata dalla Chiesa cattolica come “Santa Edvige Regina” ed è Patrona delle Regine, nonché Santa Patrona di Polonia. (Wikipedia)
m. Nivelles (Francia), 8 maggio 652
Itta o Ida apparteneva al popolo dei Franchi, che a quel tempo era ancora un popolo di rudi guerrieri. Figlia del conte di Aquitania, ancora alquanto giovane sposò il beato Pipino di Landen, maestro di palazzo del re Dagoberto II d’Austrasia e dunque uno dei maggiori dignitari del regno. Dopo il primogenito Grimoldo, che successe al padre Pipino, nacquero due figlie Begga e Gertrude, che furono rispettivamente badesse di Andenne-sur-Meuse e di Nivelles e sono venerate anch’esse come sante.La cura della famiglia non distolsero però Itta dalle sue devozioni religiose e dai suoi impegni spirituali. Cresciuti i figli, Itta e Pipino, anziché investire le loro ricchezze in beni da trasmettere agli eredi, preferirono dedicarsi alla fondazione di un grande monastero benedettino investendo così le loro risorse. Vide così la luce il monastero femminile di Nivelles nel Brabante, cioè nell’attuale Belgio, tra Bruxelles e Charleroi. Tra le prime ad entrarvi per vivere secondo la Regola di San Benedetto vi fu Gertrude, loro giovanissima figlia, che dichiarò dinnanzi alla corte franca di scegliere la vita religiosa e di preferire l’obbedienza al Creatore piuttosto che l’autorità regia. Pare infatti che il re Dagoberto stesse ipotizzando un matrimonio con lei. Entrata nel monastero, ne venne eletta badessa all’età di appena vent’anni per le sue eccezionali qualità. Alla morte di Pipino, anche sua madre Itta si congedò dalla vita del mondo e si ritirò come semplice monaca nel monastero di Nivelles.Deposte le vesti di fondatrice, Itta divenne esempio vivente di come la santità si possa trasmettere non solo con il sangue, da genitori a figli, ma anche nel verso contrario a quello naturale, dai figli ai genitori. Così a Nivelles, in una clima di profonda spiritualità, si invertirono i normali rapporti tra genitori e figli. La madre, anziana e sapiente, si trovò a doversi sottomettere umilmente e silenziosamente alla figlia e la giovane fanciulla, investita di una autorità trascendente dalla sua giovane età, divenne guida saggia e discreta di colei che l’aveva generata nella carne. Questo incredibile cammino le portò a santificarsi entrambe vicendevolmente. Quando Ida morì, l’8 maggio 652, il monastero di Nivelles perse non solo la sua fondatrice, ma soprattutto la più modesta tra le sue religiose e la badessa Gertrude perse, oltre che la propria madre, la più obbediente delle sue figlie spirituali. (Santi e Beati)
Vissuta nel XIII secolo, era figlia di un ricco mercante di vini che viveva nella operosa e dotta città di Lovanio e che, preoccupato solo di ammassare ricchezze e di assaporare i beni terreni, si contrariò molto quando la figlia, a diciott’anni, gli disse che intendeva farsi monaca: non le diede il consenso e la fece soffrire molto. Ida, già nota per la sua condotta di vita e i fenomeni mistici che si raccontavano nei suoi riguardi, alla fine riuscì a convincere il duro genitore. Entrò nell’abbazia cistercense di Val-de-Roses presso Malines, si dedicò alla preghiera, alla contemplazione e ai lavori manuali, tra i quali prediligeva la trascrizione dei libri; ma non rifiutava mai le incombenze più umili, sempre disponibile al servizio delle consorelle. I fenomeni mistici continuarono, con ripetute estasi e le furono attribuiti diversi prodigi e numerose conversioni. Morì il 13 aprile di un anno intorno al 1290. (Santi e Beati)
Matilde di Hackeborn, o di Helfta (Helfta, 1240 circa – Abbazia di Helfta, 19 novembre 1298), fu monaca nell’abbazia di Helfta, la sua esperienza mistica venne raccolta nel Liber Gratiae specialis; è venerata come santa dalle Chiese cattolica ed evangelica che ne celebrano la memoria il 19 novembre. Fu una confidente di una promessa della Madonna.
Matilde nacque tra il 1240 e il 1241 nel castello di Helfta, presso Eisleben, in Sassonia. Apparteneva a una delle famiglie più nobili e potenti della Turingia. A sette anni si recò, insieme alla madre, a far visita alla sorella Gertrude, allora badessa del monastero benedettino di Rodersdorf in Svizzera. Rimase così innamorata del chiostro che i genitori acconsentirono alla sua richiesta di rimanervi come educanda. La sua vocazione crebbe e la giovane decise di divenire suora.
Nel 1258 il monastero fu trasferito ad Helfta in Germania. Qui Matilde si distinse per pietà, umiltà, fervore. Passava il suo tempo tra preghiera, lettura e lavoro manuale. Fu maestra delle educande e consigliera spirituale delle monache, oltre che maestra di musica e di canto (ebbe il titolo di domna cantrix e, per la sua splendida voce, il Signore, nelle sue rivelazioni, la avrebbe definita «Il mio usignolo»).
Nel 1261 giunse ad Helfta una bambina di cinque anni di nome Gertrude, probabilmente orfana. La giovane, affidata alle cure di Matilde, si rivelò presto di personalità carismatica e di profonda intelligenza e resterà nella storia con il nome di santa Gertrude la Grande o di Helfta. A lei Matilde confessò le proprie visioni mistiche. Da queste confidenze nascerà uno dei libri più noti della mistica medievale: il “Libro della Grazia speciale” (Liber Gratiae specialis).
Nel 1271, anche l’anziana beghina Matilde di Magdeburgo venne accolta nella comunità di Helfta, ove trascorse in serenità gli anni finali della sua vita, lontano da calunnie e persecuzioni. Negli ultimi decenni del XIII secolo, si respirava un clima particolare nel monastero di Helfta, proprio per la presenza di monache eccezionali, autrici di opere mistiche di altissimo profilo: oltre a Matilde di Hackeborn, Gertrude di Helfta – a cui sono attribuite due opere: Legatus divinae pietatis (“Il messaggero della divina misericordia”) e Exercitia Spiritualia Septem (“Esercizi spirituali”) – e infine Matilde di Magdeburgo, autrice di Das fließende Licht der Gottheit (“La luce fluente della Divinità”). La loro opera letteraria è frutto di uno sforzo comunitario e collaborativo, tanto che si è parlato persino di “Stile di Helfta” per indicarla. Questi testi costituiscono il più ampio corpo unitario di scritti mistici di autrici femminili del XIII secolo. Le loro autrici mostrano di nutrirsi dello stesso clima spirituale: richiamo alla Sacra Scrittura, alla tradizione patristica, agli autori cistercensi; centralità dell’Eucaristia; sviluppo della mistica nuziale e devozione verso il cuore di Gesù.
Verso la fine della sua vita, ella chiese alla Madonna un aiuto, di aiutarla nell’istante della sua morte, quando l’anima abbandona il corpo. La Madonna esaudí la sua supplica, chiedendole in cambio la recita quotidiana delle “Tre Ave Maria”, in modo da onorare la Trinità.
Matilde morì ad Helfta il 19 novembre 1298.
Santa Gertrude di Helfta, detta la Grande (Eisleben, 6 gennaio 1256 – Helfta, 17 novembre 1302), religiosa cistercense, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica che ne celebra la memoria il 16 novembre.
Non si conoscono le origini di Gertrude, la quale fu affidata ed istruita all’età di 5 anni nel monastero cistercense dalla grande Matilde di Magdeburgo. Studiò le materie del trivio e del quadrivio, legge, teologia e musica. Si narra avesse una voce celestiale. All’età di 26 anni, avverte la chiamata del Signore, “L’illuminazione” come verrà definita in uno dei suoi scritti, che la spinge alla consacrazione a Dio. Estasi, visioni e fenomeni soprannaturali accompagnano questa decisione, oltre al sopraggiungere di malattie fisiche, che però temprano l’anima di Gertrude. La sua aspirazione alla vita solitaria è impedita dalla diffusione della sua fama, che porta al convento grandi frotte di fedeli, desiderosi di attingere alla sua sapienza. Instancabile propagatrice del culto all’umanità di Gesù Cristo, tradotta nell’immagine del Sacro Cuore.
La vita della Grande Gertrude si estingue nel 1302 al Monastero di Helfta (Germania), all’età di 46 anni.
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