Dalla Lettera Apostolica Sanctorum Altrix di san Giovanni Paolo II
La vita benedettina appare nella Chiesa soprattutto come un’ardentissima ricerca di Dio, dalla quale, in qualche modo, è necessario che sia contraddistinto il corso della vita di ogni cristiano che tende alle «più alte vette di dottrina e di virtù», finché arrivi alla patria celeste. Cammino che san Benedetto percorre con animo sollecito e commosso ed osserva, mostrando i non pochi impedimenti che lo rendono arduo, e i pericoli che sembra esso lo precludano e rendano vani tutti gli sforzi: poiché l’uomo è schiavo di smodate cupidigie per le quali ora si gonfia di vana presunzione, ora è atterrito da uno sgomento che strema le forze.
Ma questa «via di vita» può essere percorsa soltanto a determinate condizioni: cioè nella misura in cui si ama Cristo con cuore indiviso, e si conserva una genuina umiltà. Allora il cristiano, cosciente della sua infermità e della sua indigenza, entra con l’aiuto di Dio nella vita spirituale, si libera da ciò che lo appesantisce, contempla più chiaramente la sua natura autentica come persona, e nelle profondità più intime della sua anima, scopre Dio presente. L’amore quindi e l’umiltà si fondono e muovono l’uomo a discendere, per poi ascendere più in alto. La nostra vita infatti è una scala «che per l’umiltà del cuore viene dal Signore drizzata verso il cielo».
Orbene, una considerazione limitata all’aspetto esteriore della vita monastica può ingenerare l’opinione che il genere di vita benedettina favorisca soltanto l’utilità propria del monaco che la professa e lo induca a facile noncuranza degli altri, alienando perciò il suo animo dal senso sociale e dai problemi reali dell’umanità. Purtroppo, la vita condotta nella clausura monastica con la consuetudine dell’orazione, nella solitudine e nel silenzio, viene valutata in tal modo anche da taluni che appartengono alla comunità ecclesiale.
In realtà, invece, quando il monaco raccoglie il suo spirito, o, come disse san Gregorio di san Benedetto da Norcia, abita con sé stesso e attende diligentemente a se stesso attraverso la purificazione dell’ascesi penitenziale, fa questo anche per liberarsi dalla schiavitù della «volontà propria». Ma questa attenzione dello spirito che uno dirige verso sé stesso è solo una condizione del tutto necessaria perché il suo animo si apra con più sincero anelito verso Dio e i fratelli. Sotto l’impulso di questa concezione benedettina della vita avviene che i singoli monaci vivano in comunità, e questa diventi una sede di accoglienza.
San Benedetto percorre questa via maestra attraverso la quale, nell’ambito della famiglia monastica, si va a Dio. Ora, la convivenza monastica – chiamata dallo stesso santo ambito singolare nel quale i cuori di coloro che vi fanno parte si dilatano nell’esercizio della reciproca obbedienza – è mossa e stimolata da veemente amore del prossimo, per il quale ciascuno è spinto a dedicarsi al bene del fratello trascurando il proprio vantaggio.
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