Ss. Giusto e Clemente (m)

Ss. Giusto e Clemente (m)

Quando:
5 Giugno 2020 h. 3:15 – 4:15
2020-06-05T03:15:00+02:00
2020-06-05T04:15:00+02:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Da La Storia di Volterra – Ricostruzione storica di Mons. Ovidio Lari

ANTICHI E NUOVI EVANGELIZZATORI DI VOLTERRA

Gli antichi evangelizzatori di Volterra dormivano nel cimitero cristiano del Monte Nibbio – in attesa della beata risurrezione – quando Giusto e Clemente giunsero nella città che sarebbe diventata la loro seconda patria. I nuovi arrivati avevano scoperto con gioia dove erano le radici cristiane di Volterra, e proprio per questo motivo avevano scelto quel cimitero come loro dimora. Ma a nessuno di essi venne in mente di intraprendere ricerche o scavi, per mettere in luce le prime glorie di Volterra cristiana. Quello non era tempo per dedicarsi alle sacre curiosità: era assolutamente necessario riaccendere la genuina fede cattolica nella vita dei Volterrani. La scoperta dei primi evangelizzatori, e dei primi Santi fioriti a Volterra, poteva anche venire più tardi, quando a Dio fosse piaciuto.

La Provvidenza divina, che tutto prevede e tutto porta a compimento nel tempo opportuno, aveva stabilito che la scoperta delle radici di Volterra cristiana avvenisse a distanza di molti secoli, non però senza l’intervento – almeno indiretto – di coloro che ormai erano i Patroni della città. Ecco come si compirono i fortunati eventi. Nel 1140, nei dintorni del Monte Nibbio, il terreno smottava a causa di quel fenomeno franoso che ha prodotto le Balze. Gli smottamenti misero in pericolo il sepolcro di s. Clemente e fu necessario esumarne la salma, se non si voleva che il movimento franoso la coinvolgesse e la portasse via. Nel corso dei lavori venne alla luce una lapide di marmo sulla quale erano incisi due nomi: Attinia e Greciniana. Gli operai s’incuriosirono e vollero andare più in profondità; poco dopo trovarono due corpi di martiri con una scritta latina che ne attestava l’identità. La scritta diceva: “Queste due purissime fanciulle, Attinia e Greciniana, furono martirizzate al tempo di Diocleziano e Massimiano imperatori”. L’anno del martirio può essere fissato al 303-304, in quanto proprio quegli anni furono i più feroci della persecuzione. Era così confermato che prima dell’editto di Costantino, col quale veniva riconosciuta agli abitanti dell’impero la piena libertà di esercitare il culto cristiano, a Volterra esistevano i seguaci della nuova religione ed erano tanto convinti e infervorati della loro fede da poter offrire a Dio – e alla Chiesa – due fiori purissimi di verginità e di martirio. La bella scoperta avvenne – non dimentichiamolo – nel provvedere alla difesa delle reliquie di s. Clemente; non sembrerà quindi esagerato definirla un dono di s. Clemente alla sua Chiesa. Gli anni che dividono il dono di s. Giusto da quello di s. Clemente sono molti: dal 1140 al 1491, ma la distanza fra i due eventi non toglie nulla al secondo, né aggiunge alcunché al primo: semmai li completa ed esalta entrambi. Per meglio comprendere il secondo ritrovamento, dobbiamo ricordare che la pietà dei volterrani aveva costruito su ogni tomba dei santi Patroni un sacello simile a quelli che i primi cristiani costruivano sulle tombe dei martiri. Nel 1491 si vide che il sacello costruito sulla tomba di s. Giusto era in pericolo: i movimenti prodotti dall’avanzare delle Balze minacciavano di farlo crollare da un momento all’altro. I monaci camaldolesi della vicina Badia, ai quali era affidata la cura della zona cimiteriale del Monte Nibbio, chiamarono gli operai perché restaurassero il sacello, ma soprattutto perché vedessero se era possibile difenderlo dalla frana, che stava divorando a poco a poco tutta quella zona.

Mentre gli operai esploravano il terreno attorno alla tomba di s. Giusto, apparve ai loro occhi una tomba a pozzetto contenente un’urna protetta da coperchio ben sigillato. Tolto il coperchio, si diffuse intorno un delicato profumo che stupì tutti i presenti. I monaci compresero che si trattava di Reliquie in gran parte anonime, però tre di esse erano accuratamente distinte dalle altre e trattate con particolare attenzione. Una scritta latina diceva: “Questi sono i corpi di Dolcissimo, Carissimo e Crescenzio”. Con onore e venerazione, tutto fu riposto in luogo sacro e subito incominciò un lavoro di immaginazione, per trovare chi fossero e che cosa avessero fatto le persone di cui si erano scoperte le ossa e i “nomi”.

Ad accordare le varie opinioni contribuì una tradizione popolare secondo la quale doveva trattarsi dei primi evangelizzatori di Volterra, venuti da Roma, e quindi mandati da quella Chiesa che è la prima fra tutte. Fu accolta pacificamente da tutti l’idea che le sante Reliquie trovate nel riparare la tomba di s. Giusto, fossero quelle dei primi evangelizzatori di Volterra e tale persuasione è viva ancora.

 

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