Settimana cistercense

Settimana cistercense

Dai Sermoni sul Cantico dei Cantici di S. Bernardo

 

Cantici di quanti si convertono a Dio

 

(…) Se voi considerate la vostra esperienza personale, non avete anche voi cantato un cantico nuovo al Signore che opera meraviglie, nella vittoria con cui la vostra fede ha vinto il mondo, e nella vostra uscita dalla fossa della miseria e dal fango del pantano? E ancora, allorché il Signore si è degnato di stabilire sulla roccia i vostri piedi e dirigere i vostri passi, penso che anche allora, a motivo del beneficio della nuova vita concessavi, sia risuonato sulla vostra bocca un canto nuovo, un carme al nostro Dio. Il quale, a voi penitenti, non solo ha rimesso i peccati, ma ha promesso il premio; e allora molto di più, pieni di gaudio, per la speranza dei beni futuri, avete cantato le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore. E se talvolta un passo della Scrittura che fino ad allora a qualcuno era chiuso o oscuro, d’un tratto è divenuto chiaro, allora si è reso necessario che per il ricevuto alimento del pane celeste salisse gradito alle orecchie di Dio dalle anime rifocillate il canto dell’esultanza e della lode. Ma anche nei quotidiani esercizi e nelle lotte che non mancano di provenirci in ogni ora dalla carne, dal mondo, dal demonio, poiché, come sperimentate continuamente in voi stessi, la vita dell’uomo sulla terra è una milizia, ogni giorno dovete innalzare nuovi canti per le riportate vittorie. Ogni qual volta viene superata una tentazione o soggiogato un vizio, o evitato un imminente pericolo, o si scopre un laccio che il nemico tende, o una qualsiasi annosa e inveterata passione viene una buona volta perfettamente guarita, o una virtù molto e lungamente desiderata e spesso implorata, finalmente, con la grazia di Dio viene ottenuta, non risuona, forse, come dice il Profeta, l’azione di grazie e la voce di lode, e a ogni beneficio si benedice Dio nei suoi doni? Diversamente sarà giudicato come ingrato chi nel finale rendiconto non potrà dire a Dio: Sono canti per me i tuoi precetti nel luogo del mio pellegrinaggio (Sal 118,54). (…)

Ma vi è un cantico che sorpassa per la sua singolare dignità e soavità tutti quelli di cui abbiamo parlato e quanti altri vi potessero essere: e meritamente questo chiameremo «Cantico dei cantici», perché esso è frutto di tutti gli altri. Questo cantico solo l’unzione (dello Spirito) lo insegna, solo s’impara con l’esperienza. Lo riconoscano quelli che hanno fatto questa esperienza; chi non ha questa esperienza arda dal desiderio, non, tanto di conoscerlo, quanto di sperimentarlo. Non consiste in un suono che esce dalla bocca, ma in un giubilo del cuore; non espressione delle labbra, ma tripudio di gioia intima, non armonia di voci, ma di volontà. Non si sente di fuori, non risuona in pubblico: sola lo sente colei che lo canta e colui al quale è cantato, cioè lo Sposo e la sposa. È infatti un carme nuziale, che esprime i casti e giocondi amplessi degli animi, la concordia dei costumi e la mutua carità degli affetti.

 

 

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