Dalla Lettera V, “A Osmondo”, monaco di Mortemer di Adamo di Perseigne
La formazione dei novizi
Al suo caro fratello in Cristo, Osmondo, monaco di Mortemer (Nota: e verosimilmente maestro dei novizi), fra Adamo, così com’è abate di Perseigne, stia bene e viva bene nel Signore. La considerazione di uno spirito prudente valuta con diligenza se non sia presunzione chiedere, se la richiesta possa offendere l’animo, o eccedere le forze. L’importunità, infatti, genera disgusto. Non smette, infatti, di insistere sulla sua così gravosa richiesta, tanto più che è persuasa dell’opportunità di tutte le sue richieste. Da dove ti viene, ti prego, il valutarmi di più di quanto io sia, e il renderti così importuno a qualcuno che ti vuol bene? Ti si ama, è vero, ma non forse nella misura che tu valuti; perché anche se forse sei degno di essere amato, non posso certo riservare a un uomo quella misura d’amore che non sono capace di accordare allo stesso Creatore. Amo tuttavia, e faccio sì che quanto conosco come amabile lo sia. Ma non sempre l’effetto dell’opera testimonia sufficientemente l’affetto dell’amore. Può facilmente realizzare ciò che la domanda chiede colui nel quale l’affetto e l’effetto si corrispondono alla pari: ma finora non ho meritato di esser così rinnovato che si trovino in me entrambi questi beni. L’amore in me è modesto, la scienza leggera, molteplice l’occupazione, molto il dolore dell’animo, la fatica dello spirito e del corpo poi superano le mie forze. Che può allora esserci in comune tra la sollecitudine di Marta e l’ozio di Maria? O come puoi cercare in Lia, che è lavoratrice ed ha gli occhi malati, l’eleganza di Rachele? La stima che tu hai di me, figlio, t’inganna, e il tuo amore ti fa troppo presumere di me. La sostituzione di Lia non potrebbe darti ciò che attendi dalla vista di Rachele. Le cose passate non si sono ancora allontanate dalla mia bocca, non è ancora stata raschiata via la vecchiezza del mio animo; e tu mi costringi a far filosofia sulla novità di vita, esponendo in che modo le persone che si sono recentemente convertite dal mondo possano esser riformate secondo l’uomo nuovo. É veramente necessario che quelli che si convertono dal mondo siano con molta diligenza informati dello splendore della nuova vita, così che deposto l’uomo vecchio secondo quanto esige la logica del loro nuovo nome, siano a buon diritto chiamati novizi. Ma come può esser dato da me quest’insegnamento? Nell’Ordine non sono mai stato novizio, non ho potuto perciò ricevere questo magistero dall’esperienza, e neppure dispensarne agli altri l’insegnamento. Certo non nego che un tempo sono stato maestro dei novizi. Ma non ho potuto istruire nessuno dei novizi sulle regole di quest’arte ciò che ho assunto questo ministero da inesperto. In ogni modo reputo che per quest’opera sono necessarie sei cose. Una volta che queste siano possedute come abitudini e custodite come regole di vita, l’etiope può mutare la sua pelle e risplendere del candore di una beata novità. La prima è il fervore della fede; la seconda il timor di Dio; la terza l’amore della sapienza; la quarta il modo di vivere religioso (devoto) del maestro dei novizi; la quinta la sua benevola sollecitudine per il novizio; la sesta delle conversazioni frequenti e amichevoli sulle realtà spirituali o colloqui sulle osservanze regolari.
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