Sant’Aleide monaca N.O. (mf)

Sant’Aleide monaca N.O. (mf)

Quando:
12 Giugno 2025 h. 3:15 – 4:15
2025-06-12T03:15:00+02:00
2025-06-12T04:15:00+02:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Dalla Vita di sant’Aleide di un autore cistercense del suo tempo

 

Compiuti i sette anni sotto lo sguardo vigile dei genitori, Aleide, lasciato il lusso mondano, con gioia entrò nel monastero chiamato la Chambre di S. Maria, ove si dedicò agli studi letterari. Dotata della luce della vera sapienza, infusa dall’alto, in breve superò non solo le sue coetanee, ma anche quelle di età superiore alla sua. Ora, volendo edificare la sua vita su un fondamento stabile e solido, con previdente intuizione pose per base l’umiltà. Posto dunque questo fondamento, andava studiando come poter costruire un edificio sublime. Così, apprendendo dalle Scritture che il timore del Signore è l’inizio della sapienza, ragionava tra sé come poteva applicarlo all’umiltà.

Ma Dio voleva che Aleide, futuro “vaso di sua elezione”, fosse pienamente liberata da ogni frastuono temporale e da qualsiasi contaminazione col mondo. Non perché in lei ci fosse qualche colpa o meritasse castigo, ma per poter rimanere con lei, come fa lo sposo, quando, portando un regalo alla sua sposa come segno del suo amore di predilezione, la spinge ad attendere in piena libertà a Lui solo. Per rimanere là nel segreto del cuore dell’amato come in un talamo, così che Lui venendo possa inebriare la sua sposa con la soavità del suo profumo. Per questo la colpì con una grave malattia incurabile e che pochi desiderano, cioè la lebbra. La prima notte in cui fu allontanata dalla sua comunità, fu presa da un dolore così grande che, sia per la pena tanto violenta, che per la prostrazione dello spirito, si sentì così ferita nel cuore da rimanere esanime. Ma, aveva imparato, come già tante altre volte aveva fatto, a ricorrere al sicurissimo porto divino nel momento della tribolazione e angustia, nello scoraggiamento e inedia. Come il bambino che cerca il petto della madre, così ella si rifugiava nel Cuore di Gesù e nelle sue piaghe. Quando fu pronta la casa che le era stata preparata e adattata per la sua singolare malattia, nel primo giorno in cui vi entrò, al centro della stanza la attendeva il Signore con le braccia aperte che, stringendola tra le braccia, le disse: “Benvenuta, figlia carissima, benvenuta! Da tanto ho desiderato incontrarmi con te in questo tabernacolo della mia alleanza. Io rimarrò qui con te fino a quando tu resterai nel tuo corpo”. Avvicinandosi la fine del suo esilio, l’orribile malattia le devastò tutto il corpo: dalla pianta dei piedi alla testa non c’era nulla di sano. Privata persino della vista, la sua anima, invece, era come rivestita di luce divina, perché tenuta stretta nell’abbraccio divino. Più nessun membro del corpo era sano, nessuno che non fosse toccato dalla malattia. Rimanendole intatta la sola lingua cantava continuamente le lodi divine, fino a che ne ebbe forza. Un giorno, verso l’aurora, nella festa dell’apostolo san Barnaba, si assopì nel suo lettuccio in un dolce sonno e al sorgere del sole con un lieve respiro spirò.

 

 

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