San Pier Damiani (m)

San Pier Damiani (m)

Quando:
21 Febbraio 2019 h. 3:15 – 4:30
2019-02-21T03:15:00+01:00
2019-02-21T04:30:00+01:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Dalle Lettere di san Pier Damiani (Ep. 28,48-49)

 

La salmodia notturna di un monaco nella sua cella

Oh quale sublime spettacolo quando un fratello, chiuso nella sua cella, canta le salmodie notturne e, quasi sentinella davanti agli accampamenti di Dio, veglia di guardia la notte! Egli contempla nel cielo il corso degli astri, ma dalla sua bocca fluisce la sequenza dei salmi. E come sorgono e tramontano le stelle che, succedendosi nelle loro orbite, si avviano verso la luce del giorno, così la salmodia, procedendo dalle labbra del monaco come da oriente, si avvia a poco a poco al suo termine quasi di pari passo con gli astri. Questi adempie il servizio che si è assunto; la stella esegue il compito a lei prefisso. Questi, salmodiando, si eleva interiormente alla luce inaccessibile; quella, alternandosi nel suo corso ad altre stelle riconduce la luce del giorno alla vista dei suoi occhi esteriori. E così, mentre entrambi, ciascuno per la sua strada, si avviano alla conclusione del loro corso, in un certo modo anche gli stessi elementi della natura vanno d’accordo nel loro servizio con il servo di Dio. La cella insomma è testimone di quanto un cuore sia ardente dell’amore di Dio, di chi davvero cerchi il volto di Dio con la costanza di una vera pietà. La cella sa quando la mente dell’uomo viene cosparsa della rugiada della grazia celeste e irrigata dalla pioggia delle lacrime che scendono abbondanti per l’amarezza della compunzione. E se anche le lacrime non sgorgano fisicamente dagli occhi, tuttavia l’amarezza dei cuore non è distante dal produrre autentiche lacrime, perché quell’umore che non si raccoglie dal ramo visibile coi sensi si conserva abbondante nella radice profonda di un cuore vivo. Basta infatti che pianga lo spirito, anche se non sempre si possono versare continuamente le lacrime. La cella è quel laboratorio dove le pietre preziose vengono levigate in modo da essere poi inserite nei muri dei tempio senza che si oda alcun rumore dei colpi di martello.

Oh cella, quasi emula del sepolcro del Signore, che accogli morti nel peccato e li fai rivivere per Dio con il soffio dello Spirito Santo! Tu sei la tomba per i torbidi tormenti della vita di quaggiù, mentre ci apri l’ingresso alla vita celeste. Coloro che scampano al naufragio delle tempeste mondane trovano in te il porto della tranquillità; i feriti in battaglia, che sfuggono alle mani nemiche, vedono in te la camera d’ospedale, ove poter guarire ad opera di un medico efficace. Quando infatti con retta intenzione ci si rifugia all’ombra dei tuo tetto, viene sicuramente curata ogni lividura dell’anima ferita, ogni piaga dell’uomo interiore. A te guardava Geremia, quando diceva: E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. E’ bene per l’uomo portare il giogo fin dalla giovinezza. Sederà costui solitario e resterà in silenzio perché saprà innalzarsi sopra di sé.   Chi infatti abita le tue mura si eleva al di sopra di se stesso, perché l’anima assetata di Dio distoglie lo sguardo dalle cose terrene e si stabilisce sulla rocca della contemplazione divina, si separa dalle occupazioni del mondo e si libra in alto sulle ali del desiderio celeste. Così, mentre è tutto intento a contemplare Colui che è al di sopra di tutte le cose, l’uomo trascende se stesso insieme con tutte le altre miserie di questa valle terrena.

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