San Giovanni Paolo II (m)

San Giovanni Paolo II (m)

Quando:
22 Ottobre 2021 h. 3:15 – 4:15
2021-10-22T03:15:00+02:00
2021-10-22T04:15:00+02:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Dalla Novo Millenio Ineunte (2001), nn. 21-23

 

La profondità del mistero

Il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua tenda tra gli uomini! È nell’unione intima e indissociabile di queste due polarità che sta l’identità di Cristo, secondo la formulazione classica del Concilio di Calcedonia (a. 451): «una persona in due nature». La persona è quella, e solo quella, del Verbo eterno, figlio del Padre. Le due nature, senza confusione alcuna, ma anche senza alcuna possibile separazione, sono quella divina e quella umana.

Siamo consapevoli della limitatezza dei nostri concetti e delle nostre parole. La formula, pur sempre umana, è tuttavia attentamente calibrata nel suo contenuto dottrinale e ci consente di affacciarci, in qualche modo, sull’abisso del mistero. Sì, Gesù è vero Dio e vero uomo! Come l’apostolo Tommaso, la Chiesa è continuamente invitata da Cristo a toccare le sue piaghe, a riconoscerne cioè la piena umanità assunta da Maria, consegnata alla morte, trasfigurata dalla risurrezione: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato» (Gv 20,27). Come Tommaso la Chiesa si prostra adorante davanti al Risorto, nella pienezza del suo splendore divino, e perennemente esclama: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).

«Il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14). Questa folgorante presentazione giovannea del mistero di Cristo è confermata da tutto il Nuovo Testamento. In questa linea si pone anche l’apostolo Paolo quando afferma che il Figlio di Dio è «nato dalla stirpe di Davide secondo la carne» (Rm 1,3; cfr 9,5). Se oggi, col razionalismo che serpeggia in tanta parte della cultura contemporanea, è soprattutto la fede nella divinità di Cristo che fa problema, in altri contesti storici e culturali ci fu piuttosto la tendenza a sminuire o dissolvere la concretezza storica dell’umanità di Gesù. Ma per la fede della Chiesa è essenziale e irrinunciabile affermare che davvero il Verbo «si è fatto carne» ed ha assunto tutte le dimensioni dell’umano, tranne il peccato (cfr Eb 4,15). In questa prospettiva, l’Incarnazione è veramente una kenosi, uno «spogliarsi», da parte del Figlio di Dio, di quella gloria che egli possiede dall’eternità (cfr Fil 2,6-8; 1 Pt 3,18).

D’altra parte, questo abbassamento del Figlio di Dio non è fine a se stesso; tende piuttosto alla piena glorificazione di Cristo, anche nella sua umanità: « Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre » (Fil 2,9-11).

«Il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 27[26], 8). L’antico anelito del Salmista non poteva ricevere esaudimento più grande e sorprendente che nella contemplazione del volto di Cristo. In lui veramente Dio ci ha benedetti, e ha fatto «splendere il suo volto» sopra di noi (cfr Sal 67[66], 3). Al tempo stesso, Dio e uomo qual è, egli ci rivela anche il volto autentico dell’uomo, «svela pienamente l’uomo all’uomo».

Gesù è «l’uomo nuovo» (Ef 4,24; cfr Col 3,10) che chiama a partecipare alla sua vita divina l’umanità redenta. Nel mistero dell’Incarnazione sono poste le basi per un’antropologia che può andare oltre i propri limiti e le proprie contraddizioni, muovendosi verso Dio stesso, anzi, verso il traguardo della «divinizzazione», attraverso l’inserimento in Cristo dell’uomo redento, ammesso all’intimità della vita trinitaria. Su questa dimensione soteriologica del mistero dell’Incarnazione i Padri hanno tanto insistito: solo perché il Figlio di Dio è diventato veramente uomo, l’uomo può, in lui e attraverso di lui, divenire realmente figlio di Dio.

 

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