S. Tommaso D’Aquino (m)

S. Tommaso D’Aquino (m)

Dalla Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino(Q 83 articolo 14)

 

Se la preghiera debba essere continua 

SEMBRA che la preghiera non debba essere continua. Infatti:

  1. Nel Vangelo si legge: “Nel pregare non moltiplicate le parole”. Ma chi prega a lungo è costretto a dire molte parole: specialmente se la preghiera è vocale. Dunque la preghiera non dev’essere continua.
  2. La preghiera è fatta per esprimere il desiderio. Ma il desiderio è tanto più santo, quanto più si riduce a una sola cosa, secondo le parole del Salmista: “Una cosa sola ho chiesto al Signore, questa io cerco”. Perciò anche la preghiera tanto più è accetta a Dio quanto è più corta.
  3. È illecito per un uomo passare i limiti fissati da Dio, specialmente poi nelle cose relative al culto divino, poiché anche nell’Esodo si legge: “Avverti il popolo che non osi oltrepassare i termini per vedere il Signore, così che ne abbia a morire un gran numero”. Ora, i limiti del pregare per noi sono stati fissati da Dio con l’istituzione del Pater Noster. Dunque non è lecito fare una preghiera più lunga.

IN CONTRARIO: È chiaro che si deve pregare di continuo. Poiché il Signore ha detto: “Bisogna pregare sempre, senza stancarsi”. E S. Paolo ripete: “Pregate ininterrottamente”.

RISPONDO: La preghiera si può considerare, o in se stessa, o nella propria causa. Ora, la causa della preghiera è il desiderio mosso dalla carità, dal quale essa deve scaturire. E codesto desiderio in noi dev’essere continuo, o in atto, oppure virtualmente: infatti la virtualità di codesto desiderio perdura in tutto quello che facciamo mossi dalla carità; ché a detta di S. Paolo, dobbiamo “far tutto a gloria di Dio”. E sotto quest’aspetto la preghiera dev’essere continua. S. Agostino infatti ha scritto: “Noi preghiamo sempre col continuo desiderio radicato nella fede, nella speranza e nella carità”.

La preghiera invece considerata in se stessa non può essere continua: perché bisogna attendere ad altre occupazioni. “Ma proprio per questo”, spiega S. Agostino, “noi anche vocalmente preghiamo Dio in determinate ore e in determinati tempi: per ammonire noi stessi con codesti segni; per scoprire i progressi che facciamo in questo desiderio; e per eccitarci ad agire con più impegno”. Ora, la misura di ogni cosa va proporzionata al fine da raggiungere: la misura di una medicina, p. es., va proporzionata alla guarigione. Perciò la preghiera è bene che duri quanto serve a eccitare il fervore dell’interno desiderio. Quando invece sorpassa questa misura, così da provocare necessariamente disgusto, non si deve prolungare di più. Di qui le parole di S. Agostino: “Si dice che i monaci dell’Egitto usano orazioni (giaculatorie) assai frequenti, però brevissime, e improvvise come dardi, affinché l’attenzione vigile, tanto necessaria a chi prega, non svanisca e non si attutisca con attese prolungate. E in tal modo essi c’insegnano anche che come non si deve diluire questa attenzione quando non può durare a lungo, così non si deve presto interrompere quando perdura”. – E questo, come si deve tener presente per la preghiera individuale, così va tenuto presente per la preghiera pubblica rispetto alla devozione del popolo.

 

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