S. Giuseppe lavoratore (m)

S. Giuseppe lavoratore (m)

Quando:
1 Maggio 2020 h. 3:15 – 4:15
2020-05-01T03:15:00+02:00
2020-05-01T04:15:00+02:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Dalle omelie di San Giovanni Paolo II

(nella  Solennità di San Giuseppe, durante la visita pastorale alla Diocesi di Chieti, Termoli – Sabato, 19 marzo 1983)

 “Canterò senza fine le grazie del Signore” (Sal  89, 1).

Oggi la Chiesa festeggia san Giuseppe, l’“uomo giusto”, che nell’umiltà della bottega di Nazaret provvide col lavoro delle proprie mani al sostentamento della Sacra Famiglia. Oggi, quindi, è innanzitutto il giorno degli uomini del lavoro. A voi, dunque, operai, contadini, artigiani, pescatori, a voi lavoratori della terra e del mare che col sudore quotidiano guadagnate il necessario per le vostre famiglie, desidero rivolgere in modo particolare il mio pensiero e la mia parola, per additare alla vostra riflessione l’esempio di Colui che, avendo condiviso la vostra esperienza, può capire i vostri problemi, raccogliere le vostre ansie, orientare i vostri sforzi verso la costruzione di un avvenire migliore. San Giuseppe sta davanti a voi come uomo di fede e di preghiera. A lui la Liturgia applica la parola di Dio nel Salmo 88: “Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, / mio Dio e roccia della mia salvezza” (Sal 89, 27). Oh, sì: quante volte nel corso delle lunghe giornate di lavoro Giuseppe avrà elevato il suo pensiero a Dio per invocarlo, per offrirgli la sua fatica, per implorare luce, aiuto, conforto. Quante volte!

Ebbene, quest’uomo, il quale con tutta la sua vita sembrava gridare a Dio: “Tu sei mio padre”, ottenne questa particolarissima grazia: il Figlio di Dio sulla terra lo trattò da padre. Giuseppe invoca Dio con tutto l’ardore del suo animo di credente: “Padre mio”, e Gesù, che lavorava al suo fianco con gli strumenti del carpentiere, si rivolgeva a lui chiamandolo “padre”. (…) Giuseppe e la sua sposa castissima, la Vergine Maria, non abdicarono all’autorità che loro competeva come genitori. Significativamente di Gesù è detto nel Vangelo: “. . . e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51). Una sottomissione “costruttiva” quella di cui furono testimoni le pareti della casa di Nazaret, giacché è detto ancora nel Vangelo che, grazie ad essa, il Bambino “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio ed agli uomini” (Lc 2, 52). In tale crescita umana Giuseppe guidava e sosteneva il fanciullo Gesù, introducendolo alla conoscenza delle consuetudini religiose e sociali del popolo ebraico e avviandolo alla pratica del mestiere di carpentiere, del quale egli, in tanti anni di esercizio, aveva assimilato ogni segreto. Questo è un aspetto che mi preme, oggi, sottolineare: san Giuseppe insegnò a Gesù il lavoro umano, nel quale egli era esperto. Il divino Fanciullo lavorava accanto a lui, ed ascoltandolo e osservandolo imparava a maneggiare anche lui gli strumenti propri del carpentiere con la diligenza e la dedizione che l’esempio del padre putativo gli trasmetteva.

Lezione grande anche questa, carissimi fratelli e sorelle: se il Figlio di Dio ha voluto imparare da un uomo un lavoro umano, ciò sta ad indicare che nel lavoro v’è uno specifico valore morale con un preciso significato per l’uomo e per la sua autorealizzazione. Nell’enciclica Laborem Exercens ho appunto annotato che “mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 9). Come non riconoscere allora la grande dignità del lavoro, qualunque esso sia nella sua espressione concreta? Come non vedere il ruolo fondamentale che esso svolge nella vita del singolo della famiglia della società? San Giuseppe riconobbe la funzione provvidenziale del lavoro e la accettò nella propria vita, trasmettendo al piccolo Gesù che gli cresceva accanto il senso di gioiosa disponibilità con cui ogni mattina egli riprendeva la quotidiana fatica. Anche per questo san Giuseppe sta davanti al popolo cristiano come luminoso modello di vita.

 

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