S. Giovanni Bosco (m)

S. Giovanni Bosco (m)

Quando:
31 Gennaio 2019 h. 3:15 – 4:30
2019-01-31T03:15:00+01:00
2019-01-31T04:30:00+01:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Dalla Lettera apostolica Iuvenum patris
nel centenario di san Giovanni Bosco di san Giovanni Paolo II

 

Uomo dalla multiforme e instancabile attività, don Bosco ha offerto con la sua vita l’insegnamento più efficace, tanto che già dai suoi contemporanei fu considerato educatore eminente. Le poche pagine, che dedicò a presentare la sua esperienza pedagogica, acquistano pieno significato, solo se confrontate con l’insieme della lunga e ricca esperienza acquisita vivendo in mezzo ai giovani. Per lui educare comporta uno speciale atteggiamento dell’educatore e un complesso di procedimenti, fondati su convinzioni di ragione e di fede, che guidano l’azione pedagogica. Al centro della sua visione sta la “carità pastorale”, che egli così descrive: “La pratica del sistema preventivo è tutta poggiata sopra le parole di san Paolo che dice: «La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo»“. Essa inclina ad amare il giovane, qualunque sia lo stato in cui si trova, per portarlo alla pienezza di umanità che si è rivelata in Cristo, per dargli la coscienza e la possibilità di vivere da onesto cittadino come figlio di Dio. Essa fa intuire e alimenta le energie che il santo riassume nel trinomio ormai celebre della formula: “Ragione, religione, amorevolezza”. Il termine “ragione” sottolinea, secondo l’autentica visione dell’umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro, del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell’uomo nella sua vita familiare, civile e politica. Nell’enciclica Redemptor Hominis ho ricordato che “Gesù Cristo è la via principale della Chiesa; questa via conduce da Cristo all’uomo”. (…) Il suo ideale educativo è caratterizzato da moderazione e realismo. Nella sua proposta pedagogica c’è un’unione ben riuscita tra la permanenza dell’essenziale e la contingenza dello storico, tra il tradizionale e il nuovo. (…) In sintesi la “ragione”, a cui don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell’educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi e i modi da usare. La “ragione” invita i giovani ad un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche “ragionevolezza” per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità. Tutto questo, certo, suppone oggi la visione di un’antropologia aggiornata e integrale, libera da riduzionismi ideologici. L’educatore moderno deve saper leggere attentamente i segni dei tempi per individuarne i valori emergenti che attraggono i giovani: la pace, la libertà, la giustizia, la comunione e la partecipazione, la promozione della donna, la solidarietà, lo sviluppo, le urgenze ecologiche. Il secondo termine, “religione”, indica che la pedagogia di don Bosco è costitutivamente trascendente, in quanto l’obiettivo educativo ultimo che egli si propone è la formazione del credente. Per lui l’uomo formato e maturo è il cittadino che ha fede, che mette al centro della sua vita l’ideale dell’uomo nuovo proclamato da Gesù Cristo e che è coraggioso testimone delle proprie convinzioni religiose. Non si tratta – come si vede – di una religione speculativa e astratta, ma di una fede viva, radicata nella realtà, fatta di presenza e di comunione, di ascolto e di docilità alla grazia. Come egli amava dire, “colonne dell’edificio educativo” sono l’Eucaristia, la Penitenza, la devozione alla Madonna, l’amore alla Chiesa e ai suoi pastori. La sua educazione è un “itinerario” di preghiera, di liturgia, di vita sacramentale, di direzione spirituale; per alcuni, risposta alla vocazione di speciale consacrazione (quanti sacerdoti e religiosi si formarono nelle case del santo!); per tutti, la prospettiva e il conseguimento della santità. (…) Infine, dal punto di vista metodologico, l’ “amorevolezza”. Si tratta di un atteggiamento quotidiano, che non è semplice amore umano né sola carità soprannaturale. Essa esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, sani criteri e comportamenti adeguati. L’amorevolezza si traduce nell’impegno dell’educatore quale persona totalmente dedita al bene degli educandi, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell’adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda e capacità di dialogo. È tipica e quanto mai illuminante l’espressione: “Qui con voi mi trovo bene: è proprio la mia vita stare con voi”. Con felice intuizione esplicita: quello che importa è che “i giovani non siano solo amati, ma che essi conoscano di essere amati”.

 

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