Dalla Lettera enciclica Fausto appetente die di Benedetto XV
in occasione del VII centenario della morte di san Domenico di Guzmàn
(…) Domenico fu del tutto uomo di Dio e veramente Dominicus [cioè: uomo del Signore], così fu tutto della santa Chiesa, la quale ha in lui un invincibile campione della Fede. L’Ordine dei Predicatori da lui istituito fu sempre valido baluardo in difesa della Chiesa Romana. Pertanto, non solo può dirsi che Domenico «fu ai suoi giorni ristoratore del tempio», ma che provvide alla difesa di esso anche per il futuro, avverandosi le parole profetiche che Onorio III scrisse nel confermare l’Ordine nascente: «… i frati del tuo Ordine saranno gli atleti della Fede e veri luminari del mondo». Certamente, come tutti sanno, per propagare il regno di Dio, Gesù Cristo non si è servito di nessun altro mezzo all’infuori della predicazione del Vangelo, cioè della viva voce dei suoi araldi che avevano il compito di diffondere ovunque la celeste dottrina. Egli disse: «Insegnate a tutte le genti». «Predicate il Vangelo ad ogni creatura». Perciò, mediante la predicazione degli Apostoli e soprattutto di San Paolo, alla quale seguì successivamente l’insegnamento dei Padri e dei Dottori, fu possibile illuminare le menti degli uomini con la luce della verità e infiammare gli animi all’amore di tutte le virtù. Utilizzando in pieno tale sistema per la santificazione delle anime, Domenico propose a se stesso e ai suoi discepoli «di partecipare agli altri il frutto delle proprie meditazioni»; perciò, oltre alla povertà, alla purezza dei costumi e all’obbedienza religiosa, impose agli appartenenti al suo Ordine il santo e solenne dovere di attendere allo studio indefesso della dottrina e alla predicazione della verità. In realtà, tre sono i caratteri della predicazione domenicana: una grande solidità di dottrina, una fedeltà assoluta alla Sede Apostolica ed una singolare devozione verso la Vergine Madre. (…) Infatti, amando la beatissima Vergine con affetto filiale e confidando al massimo grado nel suo patrocinio, Domenico si accinse a sostenere la causa della Fede. Pertanto, nella lotta contro gli eretici Albigesi, i quali, tra le altre verità della Fede, negavano la divina maternità e la verginità di Maria con tantissime ingiurie, egli, nel difendere strenuamente questi dogmi, invocava spessissimo il soccorso della stessa Vergine Madre con queste parole: «Considerami degno che io ti possa lodare, o santissima Vergine; dammi la forza contro i tuoi nemici». Con quanta benevolenza la Regina dei cieli corrispondesse alla pietà del suo servo, lo si può facilmente comprendere dal fatto che Ella si servì di lui per insegnare alla Chiesa, sposa di suo Figlio, il suo santo Rosario; cioè quella preghiera che essendo contemporaneamente vocale e mentale — per l’intreccio della meditazione sui principali misteri della religione accompagnata dalla recitazione di quindici Pater e di altrettante decine di Ave Maria — è adattissima ad eccitare e a mantenere nel popolo la carità ed ogni virtù. Quindi giustamente Domenico prescrisse ai suoi discepoli, quando predicavano la parola di Dio, di inculcare spesso e con impegno negli animi degli uditori questa forma di preghiera, della quale conosceva pienamente l’utilità. Sapeva infatti che Maria, per una parte, aveva tanto potere presso il suo Figlio divino che questi concede grazie all’umanità se non attraverso la mediazione e la decisione di Lei, e dall’altra che Ella è per natura così benigna e clemente che, essendo solita a soccorrere spontaneamente gl’infelici, non può assolutamente rifiutare il suo aiuto a coloro che lo chiedono. Pertanto, Colei che la Chiesa saluta abitualmente quale «madre di grazia e madre di misericordia», si è sempre rivelata tale, soprattutto quando si è pregato tramite il Rosario.
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