S. Carlo Borromeo (m)

S. Carlo Borromeo (m)

Quando:
4 Novembre 2022 h. 3:15 – 4:15
2022-11-04T03:15:00+01:00
2022-11-04T04:15:00+01:00
Dove:
Monastero Cistercense Valserena

Dalla Lettera Enciclica “Edita saepe Dei” sull’opera di san Carlo, di San Pio X

 

 

(…) Poiché Noi siamo persuasi che gli esempi illustri dei soldati di Cristo valgono assai meglio a scuotere gli animi e a trascinarli che non le parole o le altre trattazioni (Encicl. “E Supremi”), profittiamo ora volentieri di un’altra felice opportunità che Ci si porge, per commendare gli altissimi documenti di un altro santo Pastore, suscitato da Dio in tempi più vicini quasi in mezzo alle medesime tempeste, Cardinale della Santa Romana Chiesa e Arcivescovo di Milano, da Paolo V di santa memoria ascritto nel novero dei santi, Carlo Borromeo. E non meno a proposito; poiché – per usare le parole dello stesso Nostro Antecessore – “Il Signore che fa meraviglie grandi Egli solo, ha operato con noi cose magnifiche in questi ultimi tempi, e con opera mirabile della sua dispensazione ha eretto sopra la rocca dell’Apostolica pietra un grande luminare, eleggendo dal seno della sacrosanta Romana Chiesa, Carlo sacerdote fedele, servo buono, modello del gregge e modello dei pastori. Egli infatti, con molteplice fulgore di opere sante illustrando la Chiesa tutta, brilla innanzi ai sacerdoti ed al popolo, quale un Abele per l’innocenza, un Enoch per la purezza, un Giacobbe per la sofferenza delle fatiche, un Mosè per la mansuetudine, un Elia per lo zelo ardente. Egli in sé mostra da imitare, fra l’abbondanza delle delizie, l’austerità di Girolamo, nei gradi più alti l’umiltà di Martino, la sollecitudine pastorale di Gregorio, la libertà di Ambrogio, la carità di Paolino, e finalmente ci dà a vedere con gli occhi nostri, a toccare con le nostre mani, un uomo che, mentre il mondo gli sorride con le maggiori blandizie, vive crocifisso al mondo, vive nello spirito calpestando le cose terrene, cercando continuamente le Celesti, né solo per officio sostituito in luogo di Angelo, ma emulo in terra nei pensieri e nelle opere della vita degli Angeli” (Bolla “Unigenitus”, novembre del 1610).

A tali maestri della fede e della virtù tiene rivolto l’occhio e l’animo il vero figlio della Chiesa, mentre si propone la riforma di sé e degli altri. E a tali maestri pure si appoggia il Borromeo nella sua riforma della disciplina ecclesiastica, e spesso li ricorda, come quando scrive: “Noi, seguendo l’antica consuetudine ed autorità dei Santi Padri e dei sacri Concili, principalmente del Sinodo ecumenico di Trento, abbiamo stabilito intorno a questi punti stessi nei nostri precedenti Concili provinciali molte disposizioni”. Similmente, nel prendere provvedimenti di repressione dei pubblici scandali, egli si professa guidato “e dal diritto e dalle sacrosante sanzioni dei sacri canoni, e del Concilio Tridentino soprattutto”. (Conc. Prov. V, pars I).

Né contento di ciò, per meglio assicurarsi di non avere mai a dipartirsi dalla regola suddetta, così di solito conchiude gli statuti dei suoi Sinodi provinciali: “Tutte e singole quelle cose che da noi in questo Sinodo provinciale furono decretate e fatte, sottomettiamo sempre, perché sieno emendate e corrette, all’autorità ed al giudizio della Santa Romana Chiesa, di tutte le Chiese madre e maestra” (Conc. Prov. VI, sub finem). (…) Ma soprattutto li secondò nell’attuare i mezzi pratici per il fine propostosi, cioè per la vera riforma della sacra disciplina. Nel che, di nuovo, si mostrò egli più che mai lontano dai riformatori falsi che mascherano di zelo la loro disubbidienza ostinata. Quindi, cominciando il “giudizio della Casa di Dio” (I Petr. IV, 17), si applicò anzitutto a riformare con leggi costanti la disciplina del clero; e a questo fine eresse seminari per gli alunni del sacerdozio, fondò congregazioni di sacerdoti, che ebbero nome di oblati, chiamò famiglie religiose e antiche e recenti, radunò Concili e con ogni sorta di provvedimenti assicurò e crebbe l’opera incominciata. Indi, senza ritardo, pose mano egualmente vigorosa a riformare i costumi del popolo, ritenendo per detto a sé quello che già fu detto al profeta: “Ecco, io ti ho stabilito oggi… perché tu sradichi e distrugga, perché disperda e dissipi, edifichi e pianti” (Ier. I, 10). Perciò da buon pastore, visitando personalmente le chiese della provincia, non senza gran fatica, a somiglianza del divino Maestro, “passò beneficando e sanando” le ferite del gregge; si affaticò con ogni sforzo a sopprimere e sradicare gli abusi che da per tutto s’incontravano, provenienti sia dall’ignoranza, sia dalla trascuranza delle leggi; alla perversione delle idee ed alla corruzione dei costumi straripante oppose, quasi argine, scuole e collegi, ch’egli apri per l’educazione dei fanciulli e dei giovanetti, congregazioni mariane, che egli accrebbe dopo averle conosciute al loro primo fiorire qui in Roma, ospizi, che egli schiuse alla gioventù orfana, ricoveri, che aperse alle pericolanti, alle vedove, ai mendichi o impotenti per malattia o per vecchiaia, uomini e donne; la tutela ch’egli prese dei poveri contro la prepotenza dei padroni, contro le usure, contro la tratta dei fanciulli, e simili altre istituzioni in gran numero. Ma tutto ciò egli operò aborrendo totalmente dal metodo di coloro che, nel rinnovare a loro senno la cristiana società, mettono tutto sossopra e in agitazione, con vanissimo strepito, dimentichi della parola divina: “il Signore non è nel terremoto” (I Reg. XIX, 11).

 

 

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