Dalla Lettera ai monaci dell’abbazia di st. Bertin di S. Bernardo abate
(Lettera 341 ed. Venezia 1596 = 385 ed. Migne)
A tutta la comunità del monastero di S. Bertin, a lui carissima in Cristo, frate Bernardo, chiamato alla dignità d’abate di Chiaravalle, porge il suo saluto e assicura le sue preghiere.
Vi prego, carissimi, continuate a fare così. Un allievo che fa progressi è la soddisfazione del proprio maestro. Chiunque non fa progressi alla scuola di Cristo è indegno del suo insegnamento, soprattutto nel mondo in cui viviamo, nel quale nulla permane nella condizione in cui si trova, e non progredire equivale senz’altro a recedere.
Nessuno perciò dica: «Mi basta così, voglio restare come sono, mi accontento di essere come ero ieri e ieri l’altro». Uno così si ferma durante il cammino, sta fermo sulla scala sulla quale il patriarca Giacobbe aveva visto solo figure che salivano o scendevano.
Dico dunque: chi pensa di essere ben stabile in piedi, veda di non cadere. La strada è erta e stretta; i luoghi di sosta sono molti, ma non qui, bensì nella casa del Padre. Così, chi dice di essere in Cristo, deve camminare come camminò lui. Gesù, dice l’evangelista, cresceva e avanzava in sapienza, età e grazia presso Dio e presso gli uomini.
Egli dunque non stette fermo, ma fece balzi da gigante nel suo percorso, e anche noi, se non diamo di matto, corriamo dietro a lui, stimolati dal profumo dei suoi balsami. E se ci capiterà di essere distanziati, la via si farà più perigliosa e faticosa per la nostra anima tanto pigra, poiché non potrà essere rinfrancata da quel profumo e non saprà riconoscere nettamente le tracce di colui che di tanto ci precede.
Fratelli, correte dunque, raggiungetelo. E questo potrà succedere solo se mai penserete di averlo già raggiunto; invece, dimentichi di quel che vi siete lasciati alle spalle, gettatevi sul percorso che avete davanti e fatevi forti di una vita santa, perché Dio non abbia mai a essere in collera e voi non abbiate a morire fuori dalla retta via.
Chi mangia il mio corpo, dice la Sapienza, avrà ancora fame, chi beve il mio sangue avrà ancora sete è ciò sta scritto affinché comprenda il pigro, che giustamente è lapidato a suon di sterco di vacca, che la sua pienezza non scaturisce dalla sazietà, ma dalla fame.
Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno: ci sproni dunque l’esempio stesso della cupidigia terrena. Conoscete un avido che si accontenti anche una sola volta degli onori ottenuti e non aneli subito ad altri? Così è di colui che è avido di sapere: Non si sazia l’occhio di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire. E poi: l’insaziabile ingordigia di coloro che sono schiavi dell’avidità, che amano le passioni, che vanno alla ricerca di vuoti complimenti, non ci accusa di pigrizia e tiepidezza? Dovremmo vergognarci di farci trovare meno desiderosi di beni spirituali di quanto loro lo sono di quelli terreni. L’anima di chi si è convertito arrossisca davanti a Dio se va alla cerca della giustizia con meno pervicacia di quanto prima andava alla cerca dell’ingiustizia. Eppure il motivo di fondo è tutto diverso. La paga del peccato è la morte, il frutto dello spirito è la vita eterna. Dovremmo vergognarci di avanzare verso la vita più lentamente di quanto prima non avanzassimo verso la morte, di accrescere la salvezza con meno impegno di quel che prima mettevamo nella perdizione. A prova del fatto che siamo imperdonabili, lungo la via – ricordiamolo – più si corre veloce e più si corre meglio, e il carico leggero del Salvatore, più è grande e meglio si porta. Il gran numero di penne e piume pesa sugli uccellini o li sostiene? Prova a toglierle, e il corpo spiumato sarà tirato verso il basso dal suo peso. Così, appena deponiamo la vita cristiana, il giogo soave e il carico leggero, allora siamo schiacciati, perché quel peso porta invece d’essere portato.
Views: 2