Dalla Vita di Antonio di S. Atanasio, vescovo
I primi discepoli
Un giorno Antonio uscì e tutti i monaci gli vennero incontro e lo pregarono di tener loro un discorso. Ed egli disse loro queste parole in lingua egiziana: «Le Scritture sono sufficienti per la nostra istruzione, ma è bello esortarci vicendevolmente nella fede e incoraggiarci con le nostre parole. Voi, dunque, come figli, portate al padre quello che sapete e ditemelo, io più anziano di voi, vi affiderò quello che so e che ho imparato dall’esperienza. Innanzi tutto, questo sia il nostro sforzo comune a tutti: non abbandonare quello che abbiamo iniziato, non scoraggiarci nelle fatiche e non dire: “Da molto tempo pratichiamo l’ascesi”, piuttosto, accresciamo il nostro zelo come se incominciassimo ogni giorno. L’intera vita dell’uomo è brevissima a paragone dei secoli futuri, tutto il nostro tempo è niente di fronte alla vita eterna. Ogni cosa nel mondo viene venduta secondo il suo prezzo e scambiata con altre cose di uguale valore, ma la promessa della vita eterna si compra a un bassissimo prezzo. Sta scritto: “I giorni della nostra vita sono settanta anni, ottanta se vi sono le forze, e la maggior parte è pena e fatica” (Sal 89, 10). Quand’anche avessimo perseverato nell’ascesi tutti gli ottanta o i cento anni, non regneremo per cento anni, ma invece di cento anni, regneremo nei secoli dei secoli e, dopo aver lottato sulla terra, non è sulla terra che otterremo l’eredità, ma è nei cieli che riceveremo la promessa e, deposto il corpo corruttibile, ne riceveremo uno incorruttibile (cfr. 1 Cor 15, 42).
E così, figli miei, non scoraggiamoci e non pensiamo che il tempo sia lungo, non crediamo di fare grandi cose. “Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18). Non crediamo, guardando al mondo, di aver rinunciato a grandi cose: tutta la terra è piccolissima a confronto di tutto il cielo. Se anche fossimo padroni di tutta la terra e vi avessimo rinunciato, neppur questo sarebbe degno del regno dei cieli. Come se uno disprezzasse una dracma di bronzo per guadagnarne cento d’oro, così chi fosse padrone di tutta la terra e vi rinunciasse, lascerebbe ben poco e riceverebbe cento volte tanto. Perché, dunque, non abbandoniamo i beni per amore della virtù per ricevere in eredità il regno? Perché non cerchiamo di acquistare quello che possiamo portare con noi e cioè la prudenza, la giustizia, la temperanza, la saldezza, la carità, l’amore per i poveri, la fede in Cristo, la mitezza, l’amore per l’ospite? Se otterremo questi beni, li troveremo là davanti a noi, pronti ad accoglierci come ospiti nella terra dei miti.
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