Dalle Omelie di Origene sul vangelo di Luca
Occorre cercare un motivo degno del dono di Dio concesso a Simeone.
Quest’uomo giusto e timorato di Dio, – come dice il vangelo – aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era su di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Quale vantaggio era per lui vedere Cristo? La promessa consisteva solo nel vederlo, senza trarne altre utilità? Oppure essa nascondeva qualche dono di Dio, che il beato Simeone meritò di ricevere? Una donna toccò solo il lembo del mantello di Gesù e ne fu guarita, ci dice il vangelo. Se quella ottenne un beneficio così grande solo per aver sfiorato la frangia della veste, che cosa pensare di Simeone che ricevette nelle braccia il Bambino? Era felice di tenerlo in braccio, colmo di gioia perché portava il neonato venuto a liberare i prigionieri e a sciogliere lui stesso dai legami del corpo. Egli sapeva che nessuno può far uscire gli uomini dalla prigione del corpo, con la speranza della vita futura, se non colui che reggeva in braccio. Simeone dice al Signore: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace. Finché io non sostenevo Cristo, finché le mie braccia non lo sollevavano, ero prigioniero e non potevo liberarmi dai miei vincoli. Dobbiamo intendere queste parole come se fossero, non soltanto di Simeone, ma di tutto il genere umano. Se uno abbandona questo mondo e vuole guadagnare il Regno, prenda tra le sue mani Gesù, lo circondi con le sue braccia, lo tenga tutto stretto al suo cuore e allora potrà andare esultante di gioia là dove desiderava. Considerate quanti fatti provvidenziali hanno preceduto il momento in cui Simeone meritò di tenere fra le braccia il Figlio di Dio. Anzitutto aveva ricevuto la rivelazione dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo Signore. Poi entrò nel tempio, non a caso e semplicemente come il solito, ma ci andò mosso dallo Spirito di Dio, poiché tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. Lo Spirito Santo lo portò, dunque, al tempio. Anche tu, se vuoi tenere Gesù, stringerlo fra le braccia e meritare di uscire dal carcere, cerca con ogni sforzo di lasciarti condurre dallo Spirito per giungere al tempio di Dio. Ecco: tu stai nel tempio del Signore Gesù, cioè nella Chiesa, tempio costruito con pietre vive. Ma tu stai nel tempio del Signore quando la tua vita e i tuoi costumi sono veramente degni del nome che designa la Chiesa. Se verrai al tempio mosso dallo Spirito, troverai il Bambino Gesù, lo solleverai tra le braccia e gli dirai: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace. Osserva come alla liberazione e al congedo si unisca anche la pace. Non dice infatti Simeone: “Io voglio morire”, ma aggiunge: voglio morire in pace. Anche al beato Abramo fu promessa la stessa cosa: Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri. Chi può morire in pace se non colui che ha la pace di Dio, pace che supera ogni comprensione e custodisce il cuore di chi la possiede? Chi è che se ne va in pace da questo mondo, se non colui che comprende che era Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo? Costui non nutre inimicizia e rancore verso Dio, ma con le buone opere ha conseguito in sé la pienezza della pace e della concordia; se ne va dunque in pace per raggiungere i santi padri, verso i quali se n’è andato anche Abramo. Ma perché parlo dei patriarchi? Si tratta di raggiungere lo stesso capo e Signore dei patriarchi, Gesù, di cui è detto: Essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, sarebbe assai meglio. Possiede Gesù colui che osa dire: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Affinché noi pure qui presenti nel tempio, tenendo in braccio il Figlio di Dio e stringendolo tra le nostre mani, siamo degni di essere liberati e di partire verso una migliore vita, preghiamo Dio onnipotente; preghiamo lo stesso Bambino Gesù, con il quale noi desideriamo parlare tenendolo in braccio, Gesù, a cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli. Amen.
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