PAPI DEL DEL XX SECOLO
Dall’ Omelia del 24 dicembre 1966 di San Paolo VI
Celebriamo la beata memoria dell’umile e meravigliosa nascita di Cristo nel mondo, nella storia, fra noi, uomini dispersi e cercanti. Anzi una sua rinnovata presenza noi celebriamo. Ed è così vero, così suggestivo questo avvenimento, che non è fantasia pensare a noi stessi come a viandanti nello sconfinato panorama della vita, i quali si mettono al passo sopra uno stesso sentiero, e l’uno all’altro si rivelano pellegrini verso una stessa meta. Eccoci insieme. Dove andiamo? Andiamo a Cristo. Chi è Cristo? Dov’è Cristo? Il Salvatore? Il Maestro? Il Verbo di Dio vivente nella povera e pura carne di Gesù, resosi nostro Fratello, nostra guida, nostro Collega, nostro amico, anzi nostro capo, nostra Vita? Se questo è vero, come è vero, ecco, è stupendo, è sbalorditivo. Sì, è vero. Voi lo sapete, e Noi, successori d’una testimonianza apostolica, che di secolo in secolo testualmente si ripete e si rinnova per ogni età, siamo qua venuti per darvene nuova e piena certezza. Sì, è vero. È nato il Messia, il centro dell’umanità, Colui che conosce ciò che è nell’uomo, Colui al quale, scienti o no, tutti gli uomini sono rivolti; Colui dal quale, scienti o no, tutti gli uomini aspettano la soluzione suprema. Sì, è vero. Diciamo noi pure: Arriviamo fino a Betlem; e vediamo un po’ come stanno le cose. E questa curiosità, questa avidità di sapere, di toccare la realtà del fatto prodigioso della venuta di Cristo, l’Emmanuele, nel mondo; di credere, in una parola, al mistero della Incarnazione, non sia da alcuno soffocata in fondo allo spirito, ma tutto lo invada, lo stimoli, lo tormenti, lo sollevi, lo abiliti a credere e a pregare, lo porti a personale contatto con Lui, con Cristo: questo è il Natale.
Dall’enciclica Redemptor Hominis di San Giovanni Paolo II
Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia. A Lui si rivolgono il mio pensiero ed il mio cuore in questa ora solenne, che la Chiesa e l’intera famiglia dell’umanità contemporanea stanno vivendo. …Siamo anche noi, in certo modo, nel tempo di un nuovo Avvento, ch’è tempo di attesa. «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…», per mezzo del Figlio-Verbo, che si è fatto uomo ed è nato dalla Vergine Maria. In questo atto redentivo la storia dell’uomo ha raggiunto nel disegno d’amore di Dio il suo vertice. Dio è entrato nella storia dell’umanità e, come uomo, è divenuto suo «soggetto», uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico! Attraverso l’Incarnazione Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare all’uomo sin dal suo primo inizio, e l’ha data in maniera definitiva – nel modo peculiare a Lui solo, secondo il suo eterno amore e la sua misericordia, con tutta la divina libertà – ed insieme con quella munificenza che, di fronte al peccato originale ed a tutta la storia dei peccati dell’umanità, di fronte agli errori dell’intelletto, della volontà e del cuore umano, ci permette di ripetere con stupore le parole della sacra Liturgia: «O felice colpa, che meritò di avere un tanto nobile e grande Redentore!».
Dall’Omelia del 25 dicembre 2007 di Benedetto XVI
In alcune rappresentazioni natalizie del tardo Medioevo e dell’inizio del tempo moderno la stalla appare come un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate – è diventato, appunto, una stalla. Pur non avendo nessuna base storica, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della verità che si nasconde nel mistero del Natale. Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. Giuseppe, il discendente di Davide, è un semplice artigiano; il palazzo, di fatto, è diventato una capanna. Davide stesso aveva cominciato da pastore. Quando Samuele lo cercò per l’unzione, sembrava impossibile e contraddittorio che un simile pastore-ragazzino potesse diventare il portatore della promessa di Israele. Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono – la Croce – corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità. La stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo.
Dal Radiomessaggio in occasione del Natale 1956, di Pio XII
L’inesauribile mistero del Natale sta per essere annunziato ancora una volta agli uomini della terra, oggi, forse più che mai, assetati di verità e di sicurezza. L’arcano fulgore, che irraggiò nella Notte santa dall’umile culla del Figlio di Maria, ed i cori angelici annunzianti la pace, fatti rivivere nelle anime dallo splendore e dalle melodie dei sacri riti, rinnovano alla presente umanità, delusa da tante fallite speranze, il divino invito a cercare nel mistero di Dio la chiarezza e nell’amore di Lui la vita. Possano tutti gli uomini accogliere il celeste invito, e, con la sincerità fiduciosa dei pastori, cui per primi fu rivelato il mistero del Natale, dirsi reciprocamente: «Andiamo fino a Betlemme, e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». La presente generazione, come le altre che la precedettero e a cui non mancarono né il tormento dell’ignorata verità, né le angosce di terribili eventi, tornerebbe dalla culla del Redentore glorificando e lodando Dio, poiché anche di essa Cristo è l’unico Salvatore. Sia pertanto questo, diletti figli e figlie, l’augurio natalizio che il Nostro cuore di Padre, amareggiato ma non depresso, intende di esprimervi quest’anno, in cui minacciose procelle sono tornate a sconvolgere gli orizzonti della pace. Agli uomini nuovamente atterriti, che scrutano nella notte un lembo di luce e di sereno, tale che acquieti il loro spirito angosciato dalle profonde contraddizioni del presente secolo, Noi additiamo la divina culla di Betlemme, donde riecheggia ancora il vaticinio della sicura speranza: «le vie tortuose diventino diritte e le scabrose diventino piane». Senza dubbio il peso di una flagrante contraddizione grava sulla umanità del ventesimo secolo, quasi ferendola nell’orgoglio: da una parte, è la fiduciosa aspettazione dell’uomo moderno, artefice e testimone della « seconda rivoluzione tecnica » di poter creare un mondo di pienezza in beni e in opere, affrancato dalla povertà e dall’incertezza; dall’altra, è l’amara realtà dei lunghi anni di lutti e di rovine col conseguente timore, in questi ultimi mesi aggravatosi, di non riuscire a fondare anche soltanto un modesto inizio di durevole armonia e pacificazione. Qualche cosa, dunque, non procede rettamente nell’intero sistema della vita moderna, un essenziale errore deve corrodere la sua radice. Ma dove esso si nasconde? come e da chi può essere corretto? In una parola, riuscirà l’uomo moderno a superare, anzitutto interiormente, l’angosciosa contraddizione, di cui è autore e vittima?
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