Dal Grande esordio di Corrado di Eberbach
CAPITOLO XXII
Come l’Abate Stefano conobbe quale dilatazione avrebbe avuto il suo ordine, per averglielo rivelato il signore ed essergli apparso un fratello defunto quand’era sveglio
Questa grazia insperata della visita divina, il Signore si degnò preannunziare con benignissima rivelazione al suo umile servo, il signor abate Stefano, poco prima che avvenisse.
Mentre infatti, come abbiamo riferito sopra, erano affranti da grave dolore per essere praticamente senza successori, avvenne che uno di loro, terminata la corsa della vita presente, si avvicinava alla morte, (…) Mentre pertanto, come abbiam detto, quel fratello si trovava agli estremi e aspettava la fine, il santo abate gli si avvicinò e gli disse: “Vedi, fratello carissimo, quant’è sgomento e a terra l’animo nostro! Ci siamo pur incamminati per la via stretta e angusta che nella sua Regola il beatissimo nostro Padre Benedetto ci ha indicato; ma se questo nostro stile di vita piaccia o no a Dio, non ci è del tutto chiaro, visto specialmente che da tutti i monaci vicini siamo giudicati come inventori di novità e provocatori di scandalo e scisma. Ma quel che più di tutto trafigge il mio cuore come dardo di acutissimo dolore è il nostro esiguo numero, perché a uno a uno la morte arriva ogni giorno a toglierci di mezzo e ho una gran paura che insieme con noi finirà anche questa istituzione da poco iniziata, visto che finora al Signore non è piaciuto davvero associare a noi delle persone generose e adatte all’umiltà della santa povertà, grazie alle quali poter trasmettere ai posteri la formula di questa nostra osservanza. Perciò nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, … e in virtù di santa obbedienza ti comando di tornare da noi dopo la tua morte nel tempo e nel modo che la grazia del Signore stabilirà per renderci edotti sulla nostra posizione quanto lo vorrà la sua misericordia”.
E l’ammalato: “Farò volentieri – dice – signore e padre, quanto comandi, purché, aiutato dalle tue preghiere, sia in grado di mandare ad effetto il tuo comando”. Così disse e poco dopo dalla valle del pianto salì felicemente al monte della gioia, al monte dell’eterna beatitudine.
Dopodiché, erano passati pochi giorni e il venerabile abate si trovava al lavoro con la comunità. Aveva dato, come d’abitudine il segno della pausa, e se ne stava seduto un pochino in disparte dagli altri tutt’intento alla meditazione e alla preghiera, coperto il capo con il cappuccio.
Ed ecco, all’improvviso si trovò davanti quel fratello defunto, circonfuso di grande gloria e splendore; sembrava anzi esser piuttosto sollevato in aria che poggiare per terra. Domandatogli come stesse, quale fosse la sua situazione, rispose: “Bene, egregio padre, io sto bene; possa star bene anche tu, perché grazie al tuo insegnamento e alle tue premure ho meritato d’aver parte a quella gioia senza fine, a quell’incomprensibile ‘pace di Dio che sorpassa ogni intelligenza’, per raggiungere la quale ho sostenuto con pazienza e umiltà le fatiche di questo nostro nuovo Ordine. E ora, secondo il tuo comando, sono tornato ad annunziare a te, padre, e ai tuoi fratelli la grazia e la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo. Poiché mi avevi appunto comandato di recarti una parola sicura circa la vostra posizione, sappiate e, escluso ogni scrupolo e dubbio, tenete per certo che la vostra vita e osservanza è santa e gradita a Dio. Scaccia dunque senz’indugio da te il dolore di non lasciare una posterità, che ti rode insaziabilmente l’animo, ed esci nel giubilo e nell’esultanza dello spirito, perché ‘di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di cui fosti privato’: ‘Troppo stretto è per noi questo posto: allargalo, perché vi possiamo abitare’. Ecco: ormai da adesso ‘il Signore farà grandi cose per voi’, inviandovi molte reclute, tra le quali ci saranno moltissimi uomini nobili e dotti, che riempiranno a tal punto questa casa, da volarne via come sciami di api che si sollevano in un gran brulichio per penetrare in moltissime zone del mondo e portare nei granai del cielo una gran quantità di covoni raccolti da tutte le parti del mondo, grazie al seme benedetto del Signore che per grazia sua ha attecchito in questo luogo”. All’udir queste cose, il santo abate, colmo di gioia ed esultanza, rese grazie dal più profondo del cuore alla bontà divina: egli verificava per mezzo di così felice esperienza con quanta verità la Scrittura attesti che il Signore non abbandona chi spera in lui.
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