Dalla Regola del maestro, cap. 4
Lo splendore della Gerusalemme del cielo
Temere il giorno del giudizio, aver paura dell’inferno, desiderare la vita eterna e la santa Gerusalemme, avere ogni giorno davanti agli occhi la morte come imminente. Sorvegliare in ogni momento la propria condotta, tener per certo che in qualsiasi luogo Dio ci vede. (…) Ascoltare volentieri le sante letture, prostrarsi con frequenza per la preghiera, confessare ogni giorno a Dio nell’orazione con lacrime e gemiti le colpe passate; di queste colpe emendarsi per l’avvenire.
(…) E non disperare mai di Dio. Ecco, questa è l’arte santa che abbiamo da esercitare con strumenti spirituali. Giorno e notte senza tregua dovremo dedicarci a questa santa arte, e ciascuno nel giorno del giudizio dovrà presentare al padrone nostro Iddio il lavoro delle proprie azioni: allora, quando quest’arte santa che ha la sua origine nel volere di Dio, sia stata da noi praticata pienamente e ne sia consegnato il prodotto al divino padrone nel giorno del giudizio, senza difetto alcuno, ci viene pagata dal Signore quella mercede che egli nella sua fedeltà ci promette. Mercede che è preparata per i santi, per coloro che temono Dio e adempiono coi loro atti i precetti di cui abbiamo parlato; e che consisterà nell’abitare in eterno «una terra sette volte più fulgida dell’argento», dalla cui volta celeste non splenderà nella sua luce questo nostro sole o la luna o le stelle, ma vi brillerà l’eterna maestà di Dio. Nel fulgore di questa terra ci «sono preparati fiumi di latte e di miele, di vino e di olio, fluenti» in eterno. Sulle loro rive «frutti variopinti e diversi di diversi alberi che maturano dodici volte l’anno», non per cultura d’uomo, ma per divina «munificenza» (Visio Pauli 2.1-23); non la fame li rende piacevoli a mangiarsi, né il bisogno li fa desiderare per nutrirsene, ma quando gli occhi dei beati «si saziano» solo a vederli, «ciascuno per di più sente» in bocca «il sapore che gli è gradito». «Ivi risuonano continuamente», posti sulle rive di quei fiumi, «strumenti musicali, che accompagnano gli inni, cantati a lode del re da arcangeli ed angeli» (Passio Sebastiani 13), mentre i beati cantano insieme con loro. Gli orecchi dei beati godono talmente della dolcezza di tali voci, che il loro spirito canoro ancor più si compiace di esultare, per il gran diletto che la melodia del canto produce; mentre nel duplice fulgore del cielo e della terra che divinamente irraggia, immersa in questo splendore di luce che dalla terra emana, Gerusalemme la città santa, ornata d’oro e di pietre preziose, brilla nel corrusco scintillio delle sue molte gemme (cf. Apoc. 21,10.18-21; Tob. 13,21-22; Visio Pauli 29). Le sue mura e le sue porte, le piazze e le vie, con soave armonia di melodiosi accenti, risuonano in perpetuo del canto della letizia: alleluia. In tale esultanza i beati, fulgenti nel loro celeste aspetto, godranno di sentirsi liberati dalla perdizione del mondo e di aver meritato da Dio per sempre queste celesti ricchezze.
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