Giovedì dell’ottava di Pasqua

Giovedì dell’ottava di Pasqua

San Bernardo di Chiaravalle

Primo sermone nella risurrezione del Signore

La gloria della croce

13. Dov’è ciò che dicevate: scenda dalla croce e gli crederemo? Volevate spezzare il sigillo della croce, promettendo che, allora, sareste entrati nella fede. Ecco: è aperto, non spezzato; entrate. Altrimenti, se non credete a Lui che risorge, non gli avreste creduto neppure se fosse disceso. Se vi scandalizza la croce di Cristo – e la parola della croce è scandalo per i Giudei, dice l’Apostolo – vi smuova almeno la novità della risurrezione. Noi troviamo la nostra gloria nella croce. Per noi, che siamo salvati, è potenza di Dio, e, come abbiamo mostrato, è la pienezza dì tutte le virtù. Abbiate parte almeno alla risurrezione. Ma forse anche quella vi scandalizza, anzi, molto di più vi scandalizza quella, e ciò che per noi è odore di vita per la vita, per voi è odore di morte per la morte. Perché insistere, allora? Il fratello più anziano non sopporta di sentire la musica e le danze sì indigna che sia stato ucciso per noi il vitello grasso. Sta fuori, e in nessun modo acconsente ad entrare. Entriamo noi, fratelli, e celebriamo la festa in azzimi di sincerità e di verità: infatti, Cristo, nostra Pasqua è stato immolato. Abbracciamo le virtù che ci sono state raccomandate nella croce l’umiltà e la pazienza, l’obbedienza e la carità.

14. Esaminiamo anche con attenta riflessione che cosa ci viene raccomandato in una solennità così straordinaria: proprio la risurrezione, il transito, il passaggio. Cristo, infatti, fratelli, oggi non è ricaduto, ma è risorto, non è ritornato, ma è passato, non è tornato indietro, ma si è trasferito altrove. Infine la stessa Pasqua che celebriamo si interpreta come passaggio, non come ritorno, e la Galilea, dove il risorto ci promette che lo vedremo, significa non un ritorno, ma un passaggio ad altro. Credo che ormai l’intelligenza di qualcuno mi prevenga, e sospetti dove voglio arrivare con questo discorso. Diciamo allora brevemente, soprattutto perché la prolissità del discorso non appesantisca, in una solennità così grande, la vostra devozione. Se dopo la consumazione della croce Cristo Signore fosse ritornato in vita in questa nostra mortalità e nelle miserie della vita presente, io, fratelli, avrei detto non che egli era passato oltre, ma che era ritornato non che sì era trasferito in qualcosa dì più sublime, ma che era ritornato allo stato precedente. Ma ora poiché è passato ad una vita nuova, invita anche noi a passare, ci dà appuntamento in Galilea. Per questo in quanto è morto, è morto al peccato una volta per tutte, ma in quanto vive, vive non per la carne, ma per Dio.

15. Che cosa diciamo di questo noi, che priviamo del nome di Pasqua la sacra risurrezione del Signore, in modo che sia per noi un ritorno, piuttosto che un passaggio? Abbiamo pianto in questi giorni, dediti alla compunzione e alla preghiera, all’austerità e all’astinenza, desiderando dì redimere e cancellare le negligenze degli altri tempi in questo sacro tempo di quaranta giorni. Abbiamo comunicato alle sofferenze di Cristo, siamo stati nuovamente innestati in Lui con una specie di battesimo di lacrime, di penitenza, di confessione. Se dunque siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? Se abbiamo pianto le nostre negligenze, che motivo c’è ora per ricadervi? Ci troveremo ora di nuovo curiosi come prima, parolai come prima, pigri e negligenti come prima, vani, sospettosi, detrattori, iracondi e invischiati negli altri vizi che con tanta pena abbiamo deplorato in questi giorni? Mi sono lavata i piedi, come sporcarli ancora? Ho levato la tunica, come la indosserò ancora? Non è questo un passaggio, fratelli, non così si vedrà Cristo, non è questa la strada in cui il Signore ci mostra la sua salvezza. Infine: chi guarda indietro è indegno del regno di Dio.

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