Dal trattato La vita cenobitica di Baldovino di Ford
II. LA COMUNIONE FRA GLI UOMINI, RIVELAZIONE DI DIO
Se si tratta di beni che sono sufficienti a chi ama come a chi è amato di un amore pieno, la carità ama la comunione, preferisce avere in comune con l’amato piuttosto che possedere da sola ciò che può essere sufficiente ad entrambi. Se si tratta invece di beni che non sono sufficienti all’uno e all’altro, spesso la carità sceglie di privarsene per non privarne l’amico: questi ha bisogno, essa lo sa, della sua delicata attenzione. Nell’effonder benefici, infine, la carità opera sempre in modo che colui che è amato ami a sua volta e in tal modo non sia il solo ad essere amato. Perché la carità, lo si è detto, sempre ama essere amata. Non basta all’amante l’amore della comunione se non c’è una comunione dell’amore: se desidera che tutti i suoi beni siano comuni, molto più vuole che lo sia l’amore stesso. Non può l’amore non esser benevolo, odia esser solitario. Nella sua debordante prodigalità cerca di far nascere dall’amore della comunione una comunione dell’amore. Come potrebbe l’amore esser benevolenza se cercasse di trattenere i suoi beni solo per sé e non volesse farne oggetto di comunione? Dove sarebbe la consolazione dell’amante se lui solo non fosse amato e lui solo amasse? È scritto: «Guai a chi è solo». L’amore solitario è tormento a se stesso e finisce per odiarsi, perché non può esser solitario, non può esser privo di reciprocità. Incapace com’è di fare a meno della propria benevolenza, che è la sua stessa natura, non può non amare la comunione del bene fino alla comunione di se stesso. Alla carità che è in noi sono inseparabilmente unite due realtà, che costituiscono il suo più essenziale desiderio: l’amore messo in comune e la comunione dell’amore. Se l’uno o l’altro manca, la carità ancora non conosce la beatitudine: e null’altro che la beatitudine essa cerca nella comunione del bene e nella comunione di sé. Ma se vi è il bene messo in comune e non l’amore, alla carità manca qualcosa di cui essa richiede la presenza. Se l’amore è messo in comune e non il bene, alla carità manca pure qualcosa di cui essa non può accettare l’assenza. È solo così che queste due realtà operano nella carità che è nostra, che è in noi, che è fra di noi. In virtù di questa carità non siamo certamente ancora nella piena beatitudine, ma siamo in attesa di esser resi beati in futuro, nella comunione con il Sommo Bene che tutti sazierà e nella comunione del reciproco amore per il quale nulla sarà sottratto alla nostra comunione.
Guarda, anima mia, osserva come la conoscenza della carità che ti viene dall’esperienza ti mostri sulla natura di Dio le stesse cose che Dio rivela di sé grazie al dono della fede. Tu avresti potuto, o anima, se non fossi del tutto ottenebrata dal peccato, conoscere Dio intimamente nella tua stessa natura come nella sua immagine. Ma ora sei quasi cieca, e così non sei capace di riconoscere in te o attraverso di te né Dio né te stessa. Come mai dunque non sono io cieco? Lo confesso: per quanto sta in me io su questo sono cieco; è veramente la mia voce quella che dice: «La forza mi abbandona, si spegne la luce dei miei occhi ed essa non è con me». E poiché ho cominciato, continuerò a parlarti, anima mia. Io credo che tu desideri vedere Dio e andare in Dio; ma hai bisogno di una guida, poiché sei cieca. Se segui la via per la quale ti guida la fede non sbaglierai: nella luce della fede potrai fin d’ora vedere Dio. Ma forse che Dio lo si vede solo nella fede, e non nella carità? No, lo si vede anche nella carità, soprattutto nella carità. La carità è un comando limpido, che dà luce agli occhi. In noi nulla è più simile all’amore che è Dio di quell’amore che è in noi da Dio. Grazie ad esso l’immagine di Dio è ristabilita in noi; grazie ad esso Dio si fa vedere e sentire in noi molto più di quanto si faccia conoscere nella sola fede. Se le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute in noi, se ci è possibile capire la grandezza della natura di Dio dalla sua grazia, se ci è dato di conoscere a partire dal dono l’autore di ogni dono, non vi è alcun dubbio: l’amore della comunione e la comunione dell’amore si accordano pienamente con la natura divina. Sì: Colui la cui natura è amore e benevolenza, naturalmente ama e vuol essere amato. E nella stessa misura in cui ama vuol essere amato: non sopporta che a colui dal quale vuol essere amato quanto merita di esserlo manchi una piena comunione con la sua beatitudine: la comunione dell’amore sarebbe inferiore all’amore della comunione.
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