Dai Sermoni del Beato Aelredo
Sebbene la presenza di questo giorno, che tutti i cristiani celebrano così devotamente, così attentamente, basti per eccitare i nostri cuori alla devozione, sia per la lettura della Passione del Signore, sia per la memoria della nostra salvezza, abbiamo tuttavia anche il dovere di offrire un sermone pronunciato da noi. Così da ogni parte è stato previsto per noi che non ci manchi nessuno strumento che possa infiammare le nostre anime nell’amore di Dio. Per prima cosa poi fratelli, vedete che oggi ci vengono consegnate due realtà che appartengono al nostro Signore Gesù Cristo, cioè quella immensa gloria che il popolo dei Giudei gli ha offerto in questo mondo e quel trattamento supremamente oltraggioso che lo stesso popolo gli ha aggiudicato. Come poco fa avete ascoltato dal Vangelo e ancora fra breve ascolterete, quando il Signore venne a Gerusalemme sedendo sopra un’asina “una grande folla uscì incontro a Lui, e alcuni stendevano i loro mantelli sulla via, altri tagliavano i rami degli alberi e li stendevano sulla via, e quelli che andavano avanti e quelli che seguivano gridavano dicendo: “Osanna al Figlio di Davide, benedetto Colui che viene nel nome del Signore.” Si narra anche nello stesso Vangelo, che ancora non avete ascoltato, ma che, come Dio vuole, ascolterete fra poco, quanti oltraggi proprio lo stesso popolo abbia offerto al Signore. Fu infatti da loro legato, schiaffeggiato, gli fu sputato addosso, e fu infine condannato a morte, secondo il loro giudizio, sommamente vergognoso. Ma riflettete con maggior attenzione a ciò che ho detto. Ho detto: “lo stesso popolo”, non “gli stessi uomini”. Furono giudei infatti, quelli che accolsero il Signore con tanto onore, e furono Giudei quelli che lo colpirono con una così grande ingiuria. E tuttavia: altri furono questi e altri quelli. Il Signore una volta, mostrando gli uni e gli altri al profeta Geremia con una certa similitudine gli disse: ”Che cosa vedi, Geremia”? E lui: “Vedo fichi: i fichi buoni sono molto buoni, i fichi cattivi sono molto cattivi, tanto cattivi che non si possono mangiare.” Fichi buoni sono chiamati quelli che hanno offerto al Signore una così grande dolcezza del loro amore, una così grande soavità del loro rispetto, da esser degni di essere mangiati da Lui come fichi dolcissimi, cioè da essere da Lui uniti al suo Corpo, cioè alla sua santa Chiesa. Perciò Geremia dice di quei buoni fichi: ”Furono tali quali sogliono essere i fichi primaticci”. Questi infatti erano quasi primizie della santa Chiesa, di cui l’Apostolo dice: ”Vi siete accostati alla Chiesa dei primogeniti iscritti nei cieli”. E in modo molto conveniente possono essere chiamati fichi molto cattivi quelli che non hanno trattenuto in sé nessuna dolcezza di carità, nessuna soavità di devozione, ma per l’invidia, per l’odio, per la malizia erano divenuti amarissimi e perciò non erano per niente degni di essere mangiati, cioè di essere assunti nel suo Corpo. Questa era quella “vigna” di cui Egli stesso dice, per bocca di Isaia “Ho atteso perché facesse uva, e produsse spine” e ha prodotto spine così amare, così pungenti, da trarre persino il sangue da quel suo santissimo corpo.
Come dunque il Profeta i fichi buoni e i cattivi li ha chiamati entrambi “fichi” e tuttavia fece una certa divisione tra loro, perché alcuni li chiamò buoni, altri cattivi così anche quelli che oggi hanno acclamato: “Osanna al Figlio di Davide” e quelli che hanno gridato “Crocifiggi, Crocifiggi” furono si Giudei, ma tra di loro c’è una grande divisione. Questa divisione, fratelli, è significata abbastanza apertamente nel libro di Gesù Nave. Quando infatti i figli di Israele stavano per passare il Giordano per entrare nella terra della promessa, secondo il comando del Signore, dapprima entrarono i Leviti nel Giordano, portando l’arca del Signore. Appena l’arca del Signore entrò nelle acque le acque si divisero, e la parte superiore delle acque stette eretta come un muro, e la parte inferiore rifluì al mare. Quell’arca, fratelli, significava il nostro Signore.
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