Dall’Omelia di San Paolo VI del 1975
(…) Questo edificio è insignito del titolo di Basilica, cioè di edificio regale, Titolo attribuito fin dai primi tempi del cristianesimo, alla casa destinata al culto sacro per la comunità gerarchicamente costituita. (…) I primi luoghi di culto per i cristiani, che non trovavano più un posto adeguato ed accogliente nelle sinagoghe ebraiche, com’è noto, furono le case private, dove, nella sala da pranzo, il triclinium, si radunavano i fedeli. La casa privata fu la prima domus ecclesiae, la casa dell’assemblea cristiana, cioè della «chiesa»; e prese in molti casi il nome classico di basilica, nome che fu poi riservato ai luoghi più insigni di riunione e di culto del popolo cristiano, ovvero a luoghi resi sacri e solenni per le tombe più venerate di martiri celebri.
Onoriamo dunque nella Basilica del Santissimo Salvatore, detta comunemente di San Giovanni in Laterano, commemorando la sua originaria destinazione, cioè la sua «dedicazione», al culto cattolico e alla dimora primaria del Vescovo di Roma, il Papa, successore dell’Apostolo Pietro, e perciò Pastore della Chiesa universale; onoriamo, Fratelli e Figli carissimi, questa santa Chiesa Romana: santa per la sua origine apostolica e per la sua vocazione missionaria e santificatrice; santa per la testimonianza di eroismo e di fede, che essa nutrì e propose al mondo ad esempio ed a conforto; santa per la sua ferma e perenne adesione al Vangelo e alla missione di Cristo nella storia e nella vita di questa Sede Apostolica, che è in Roma, e di quante Chiese, sorelle e figlie, le furono unite nella fede e nella carità; santa per la sua destinazione escatologica, di guida dei suoi figli cattolici e degli uomini tutti, che ne accoglie la parola di verità e di amore, verso i destini ultimi dell’umanità sulla terra; e santa perché vuol essere prima, anche celebrando questo Giubileo, a riconoscere il proprio dovere di penitenza e il proprio bisogno di umile riconciliazione con Dio e con gli uomini.
Vorremmo, o fedeli tutti di questa patria comune, ch’è per noi la nostra Diocesi, la nostra comunità ecclesiale e locale, che si accendesse nei nostri animi e fiammeggiasse di novella luce e di più vivo calore, l’amore alla nostra Chiesa Romana. (…) Dobbiamo attribuire ad un favore della divina Bontà se a noi tutti è concesso di dimorare in questa Urbe fatidica, e di appartenere a questa benedetta sede della santa Romana Chiesa. Possiamo fare nostro ciò che il nostro Predecessore Sisto V fece scrivere sul vicino altare della «Acheropita» non est in toto sanctior orbe locus, non v’è in tutto il mondo un luogo più santo, per sperimentare nei nostri animi quel senso religioso di gravità, di serietà, di responsabilità, ch’è proprio della cittadinanza spirituale romana, e che deve purificare ed assorbire ogni altro eventuale sentimento d’orgoglio, o d’interesse, o d’ironia, facile a vegetare in un’atmosfera come questa. Procuriamo tutti di comprendere i doveri caratteristici dello spirito romano cristianamente inteso: la dignità della vita, l’esemplarità del costume, la nobiltà dei cuori. Siamo cattolici romani! quale studio e quale gusto per l’unità dei pensieri, per la concordia degli animi, per la disciplina degli atti; Roma è scuola e palestra di armonia e di affezione ecclesiale! E comprendere dobbiamo come questo spirito, questo stile romano in chiave evangelica, ci abilita anche ad una superiore coscienza civica, leale in ogni rapporto della convivenza sociale, e sempre cordialmente vigile ai nostri doveri, e specialmente ai bisogni dei nostri concittadini, e tuttora ispirata ad evocare dalla storia e dalla cultura dell’Urbe ciò che di genuino, di perenne può a noi sovvenire con moderna e salutare espressione: perché dovremmo attingere da altre infide sorgenti l’acqua sempre limpida e fresca, che ancora ci elargiscono le fontane del romano e cristiano umanesimo?
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