Dalla Regola delle Recluse di Aelredo di Rievaulx
Testo quanto a te, sorella, vorrei che tu non fosse mai sicura, ma che rimanessi nel timore, non fidandoti della tua fragilità; vorrei che, come timida colomba tu frequentassi i corsi d’acqua dove poter vedere, come in uno specchio, l’immagine dell’avvoltoio che vola sopra di te, e stare in guardia. I corsi delle acque sono le parole delle Scritture che, sgorgano dalla chiarissima fonte della sapienza, mettono in evidenza l’immagine delle suggestioni diaboliche e illuminano i sensi perché le possano evitare. Niente infatti scaccia i pensieri inutili o reprime quelli lascivi quanto la meditazione della parola di Dio, alla quale la vergine deve talmente abituare la sua anima da non riuscire a meditare altro anche se volesse. Il sonno la prende mentre sta pensando alla scrittura, la risveglio la prima cosa che le viene in mente sia un passo della Scrittura, e mentre dorme qualche versetto della Scrittura, rimasto attaccato alla memoria, venga a rendere gustosi i suoi sogni.
Ci sono però alcuni che talvolta abbandonano questi esercizi salutari per timore di indebolirsi a causa di astinenze eccessive o di veglie troppo lunghe, e diventare così di peso ad altri e fonte di sofferenza per se stessi.
Questa è una scusa che nasce dai nostri peccati. Quanto sono pochi, quanto sono pochi ai gironi nostri quelli che sono accesi da fervore eccessivo. Siamo tutti saggi, siamo tutti previdenti, siamo tutti discreti!
Sentiamo puzza di guerra da lontano, e così temiamo a tal punto la malattia del corpo ancora prima di soffrirla che, presi dallo spavento, trascuriamo la malattia dell’anima che invece sappiamo essere presente, come se la fiamma della libidine fosse più tollerabile dei bruciori di stomaco, o come se non fosse meglio bloccare all’istante la lussuria facendo soffrire la carne, piuttosto che, rimanendo sani e intatti, diventarne schiavi. Cosa può importare infatti che siano l’astinenza o la malattia a reprimere l’orgoglio della carne e a conservare la castità? Ma la debolezza, si dirà, è da temere, perché non capiti che l’infermità diventi un pretesto per cedere alle lusinghe del piacere. Ma ceto! Se uno è debole, se è malato, se gli si torcono le viscere, se lo stomaco è secco, qualsiasi piacere sarà più un peso che un godimento.
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