Dal VI Sermone di Amedeo di Losanna per la Beata Vergine Maria
Invito alla gioia: il banchetto del cielo
Mangiate, amici miei, bevete e inebriatevi, o cari. Vi invito alla tavola della Sapienza e alle libazioni del vino che essa vi ha preparato nella sua coppa. Vi invito al festino della Gloriosa, al banchetto della Madre di Dio. Felice colui che, ammesso a un tale banchetto, brillerà davanti agli invitati indossando la veste nuziale. Gli sarà servito il pane di vita, che fortifica, colma e sazia con una meravigliosa dolcezza, e il vino della gioia, scaturito dal frutto della vite, vero vino di risurrezione espresso dall’albero della passione del Signore. Questo vino è stato prodotto dal grappolo che, preso dalla Terra Promessa, fu sospeso a un’asta di legno.
Di più, chi partecipa a questo banchetto, vestito con il suo abito più bello e ornato dall’anello della pace, mangerà il vitello grasso ucciso dal Padre. Cinti i fianchi con la cintura della fede e della castità e con i sandali ai piedi per essere pronto ad ogni opera buona, mangerà le carni dell’Agnello pasquale arrostite al fuoco. E, se lo desidera, questo convitato avrà anche il giovane cerbiatto, figlio della cerva piena di grazia, e il cervo che balza attraverso le colline degli aromi, il cervo che salta dalla vallata degli inferi fino alla montagna del cielo. Poi, dopo aver preso un po’ del pesce che fu trovato alla riva del mare su della brace, quando il Signore apparve ai suoi discepoli dopo la sua resurrezione, gusterà anche il favo di miele. Allora dirà in quel giorno, ripetendo il poema del Cantico dei Cantici: “Ho gustato il favo con il mio miele, ho bevuto il mio vino con il mio latte.” Sovrabbondando dunque di tutte le delizie, inviterà così anche gli altri al banchetto insieme con lui: “Mangiate, amici miei; bevete ed inebriatevi, o cari.”
E anch’io vi invito, fratelli miei, a questo convito: “Mangiate, amici, bevete ed inebriatevi, o cari.” Mangiate il pane di vita, bevete il vino dell’allegrezza, inebriatevi con la gioia della resurrezione. Tale ebbrezza è la suprema sobrietà, cancella il ricordo del mondo e imprime senza interruzione nell’anima il senso della presenza di Dio. Chiunque ne è inebriato dimentica tutto e ricorda solo la divina carità. Voi dunque, miei carissimi, inebriatevene, inebriatevi con la madre di Dio e siate nella letizia. Gioite della, sua gioia, voi che avete sofferto della sua sofferenza.
“C’è un tempo per la gioia, e un tempo per la tristezza” dice Salomone. La tristezza è passata, è arrivato il tempo della gioia, della vera gioia che proviene dalla resurrezione di Cristo. Infatti è risorto, ed ha sollevato l’animo della Madre sua. Ella giaceva infatti nell’angustissima tomba del dolore fino a che il Signore giaceva nel sepolcro. Quando egli risuscitò, anche il suo spirito tornò alla vita e, come se si risvegliasse da un profondo sonno, ella scorse nella luce del mattino il Sole di giustizia e i raggi di luce del Risorto, e vide realizzarsi in suo Figlio, primizia di ogni creatura, l’aurora nascente (di un mondo nuovo) e la futura resurrezione della carne. I suoi occhi si saziavano del corpo radioso del Risorto e la sua anima contemplava la gloria della divinità: cosi, sia nell’intimo che nell’esteriore, rientrando e uscendo (da sé stessa) si saziava nei pascoli della felicità vera ed eterna. Rapita fuori da sé stessa, e dimentica di sé nella gioia, aderiva così con cuore dilatato al Padre degli spiriti e, radicata in Dio, era interamente trasportata in Colui del cui amore immenso era ricolma.
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