Dall’insegnamento dei Pontefici
Dalle omelie di San Giovanni Paolo II (24_05_2000)
L’Ascensione di Cristo al cielo, narrata da Luca a suggello del suo Vangelo e come inizio della sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, è l’ultima apparizione di Gesù, che “termina con l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube e dal cielo” Il cielo è per eccellenza il segno della trascendenza divina. È la zona cosmica che sta sopra l’orizzonte terrestre, entro il quale si svolge l’esistenza umana. Il Cristo, dopo aver percorso le strade della storia ed essere entrato anche nell’oscurità della morte, frontiera della nostra finitudine e salario del peccato, ritorna alla gloria, che dall’eternità condivide col Padre e con lo Spirito Santo. E con sé conduce l’umanità redenta.
Dall’Enciclica Haurietis Aquas del Venerabile Pio XII
Dopo che il Salvatore nostro ascese al cielo e si assise alla destra del Padre nello splendore della sua umanità glorificata, non ha cessato di amare la Chiesa, sua sposa, anche con quell’ardentissimo amore, che palpita nel suo Cuore. Egli, infatti, ascese al cielo recando nelle ferite delle mani, dei piedi e del costato i trofei luminosi della sua triplice vittoria: sul demonio, sul peccato e sulla morte; e recando altresì nel suo Cuore, come riposti in un preziosissimo scrigno, quegli immensi tesori di meriti, frutti del suo triplice trionfo, che adesso dispensa in larga copia al genere umano redento. È questa la verità consolante, di cui si fa assertore l’Apostolo delle genti, quando scrive: «Ascendendo in alto portò via schiava la schiavitù, dette donativi agli uomini… Il discendente è lo stesso che l’ascendente sopra tutti i cieli, affinché riempisse tutte le cose»
Dalle omelie di Benedetto XVI (24_05_2009)
In Cristo asceso al cielo, l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell’intimità di Dio; l’uomo trova ormai per sempre spazio in Dio. Il “cielo”, questa parola cielo, non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l’umanità, Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti. L’essere dell’uomo in Dio, questo è il cielo. E noi ci avviciniamo al cielo, anzi, entriamo nel cielo, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in comunione con Lui. Pertanto, l’odierna solennità dell’Ascensione ci invita a una comunione profonda con Gesù morto e risorto, invisibilmente presente nella vita di ognuno di noi.
Dagli insegnamenti del San Paolo VI
“Noi dobbiamo fissare pensiero e cuore là dove è Cristo, oltre i confini della vita presente, e donde Egli un giorno, l’ultimo giorno della vita temporale dell’umanità, ritornerà vincitore, giudice, instauratore di un nuovo regno di vita e di felicità. L’asse della nostra concezione della vita deve essere rivolto là, a quel termine trascendente e supremo, suo cardine finale, che è appunto il Cristo Glorioso…La mentalità del cristiano trasferisce al di là della scena presente il traguardo dei suoi desideri, e si considera viandante in questo mondo. Di speranza si vive: il cristiano pone la sua speranza là, dove non fallisce; il cuore del Cristiano è già vicino a Cristo e pregusta il gaudio di quell’incontro finale con Lui.”
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